Oggi sono arrivati in Italia 67 dei 125 profughi siriani portati in salvo durante questa settimana grazie al progetto dei corridoi umanitari, promosso dalla Comunità di Sant’Egidio e dalla Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia e finanziato con i fondi dell’Otto per mille valdese. Ci si avvicina così al numero di 800 persone vulnerabili che hanno evitato uno dei tanti viaggi della speranza che spesso si trasformano in viaggi della morte attraverso il Mediterraneo.
Paolo Naso, coordinatore del progetto Mediterranean Hope e coordinatore della commissione studi dialogo e integrazione della Fcei, ha viaggiato oggi con loro da Beirut.
Da quali persone è composto questo gruppo?
«Sono tutte persone provenienti da zone di guerra, molte dalla città martire di Aleppo. In maggioranza sono musulmani, ma ci sono anche alcuni cristiani. Ci sono molti bambini e dal punto di vista sociale è un gruppo molto eterogeneo, un tassello dunque di ciò che era la società siriana: famiglie provenienti da ceti sociali medio-alti, giovani studenti che dall’oggi al domani hanno visto la loro vita fermarsi nell’impossibilità di continuare gli studi e avere una speranza di trovare un lavoro o di restare nella propria casa, ma anche alcune famiglie popolari, aggravate da lunghi periodi di permanenza nei campi profughi – approssimativamente chiamati così, in realtà appezzamenti di terreno in cui centinaia di persone vivono insieme in tende di plastica con un bagno solo, senza possibilità di lavorare o di mandare i propri figli a scuola – quindi molto provati. Fortunatamente c’è l’incosciente allegria dei bambini che cambia il tono, anche se resta l’inferno da cui sono scappati. A Fiumicino con ammirevole efficienza, le forze di polizia ci hanno assistito nelle operazioni di controllo, che confermano l’assoluta legalità con cui arrivano queste persone, note e conosciute agli organizzatori. Una forma preventiva di controllo che aiuta la sicurezza dal punto di vista degli italiani, non solo degli immigrati».
Alcune famiglie si riuniranno con gli arrivi di oggi?
«Si, e così si realizza uno di quei progetti di riunificazione familiare che da un punto di vista teorico è garantito dalle norme vigenti, ma che in realtà è difficilissimo. Abbiamo delle sorelle che si ritrovano, delle famiglie che si riuniscono. Ma soprattutto c’è l’aspetto di un gruppo di persone che ritrova la libertà di pianificare la propria vita. A Beirut ho visto delle persone riconquistare la libertà di pensare alla propria vite e a sé stessi, dopo il limbo di diritti vissuto in Libano, tollerati malamente dalla maggioranza della popolazione. Arrivando in Italia inizia una pagina nuova della loro vita».
Dove saranno accolti?
«Le persone arrivate oggi saranno accolte dalla rete di Sant’Egidio e un piccolo gruppo andrà a Campoleone, in una struttura della Fcei. La maggior parte delle persone che arriveranno domani saranno invece in carico alla Fcei e alla Diaconia Valdese. Andranno a Torino, Milano, Padova, Firenze e in Calabria. Trovo importante ricordare che con questo gruppo saranno 20 i profughi sistemati in un programma di accoglienza in aree di spopolamento rurale nel sud del nostro paese, abbandonate dall’emigrazione e denatalità degli italiani. Insieme ai comuni abbiamo creato una rete che permette alle persone di ricominciare una vita concretamente attraverso il loro lavoro e la loro energia».
La speranza dei promotori è che il progetto dei corridoi umanitari continui ed essere replicato e a espandersi: «è successo in Francia, dove è appena stato firmato un protocollo dalla Federazione protestante di Francia, Sant’Egidio e la Conferenza Episcopale per un progetto, fotocopia di quello italiano, che partirà in maggio – ha detto Luca Maria Negro, presidente della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia –. Nei giorni scorsi il fondatore di Sant’Egidio, Andrea Riccardi ha incontrato Angela Merkel che ha espresso interesse e condivisione per questo progetto, parlando di un’esperienza ecumenica di grande rilievo. Chissà se anche in Germania si arriverà a qualcosa di simile, anche perché da tempo le chiese tedesche ci stanno pensando».