Temiamo il Signore, il nostro Dio, che dà la pioggia a suo tempo: la pioggia della prima e dell’ultima stagione, che ci mantiene le settimane fissate per la mietitura
Geremia 5, 24
Dio vi ha fatto del bene, mandandovi dal cielo pioggia e stagioni fruttifere, dandovi cibo in abbondanza, e letizia nei vostri cuori
Atti degli apostoli 14, 17
La stupefacente grandezza e potenza di Dio appare in tutti gli aspetti del creato, nell’avvicendarsi e nel trascorrere delle stagioni, nel sole e nella pioggia che permettono al frutto del lavoro umano di crescere e mostrano la suddivisione dei lavori agricoli, fondamentali ieri come oggi per la sussistenza delle popolazioni. In tempi lontani, ma anche nel presente, la carestia è una delle sventure più temute, e la mancanza di pioggia viene sentita come un pericolo ricorrente sulla seminagione. Senza l’acqua nulla può crescere e svilupparsi, senza la pioggia dal cielo tutto si desertifica.
E un tempo, molto più di oggi, quando si sopperisce perlopiù con la tecnologia, la mancanza della pioggia viene vista con timore, quasi una punizione divina. Gli antichi erano molto più legati di noi al ciclo delle stagioni: nel nostro occidente sviluppato, se fa freddo accendiamo i termosifoni, se viene il caldo, ci difendiamo con l’aria condizionata. Non siamo più immersi nei cicli della natura, e delle sue dinamiche talora incontrastabili ce ne accorgiamo soltanto nelle gravi catastrofi: eruzioni, valanghe, terremoti, tsunami, che portano via migliaia di vite umane, oltre a distruggere risorse di ogni genere nell’agricoltura e nelle città.
Nelle grandi catastrofi ci ricordiamo improvvisamente della nostra fragilità e debolezza di singoli e di comunità, e allora sembra riemergere quel «timore» di cui parla il profeta, indotto a questa osservazione dalla consapevolezza della grandezza e potenza di Dio. Abbiamo saputo noi oggi conservare – in quanto credenti consapevoli della nostra piccolezza – il «timore di Dio», o ci lasciamo anche noi perlopiù trascinare dal vortice della vita quotidiana?