«Le benedizioni a scuola, fuori dalle lezioni e facoltative, sono legittime», titolava ieri Repubblica.it di Bologna, in merito alla sentenza del Consiglio di Stato che ha accolto il ricorso del ministero dell’Istruzione e ribaltato la decisione del Tar Emilia-Romagna che in passato aveva annullato la delibera con cui un Consiglio d’istituto di Bologna le aveva autorizzate.
Per i giudici il rito non può «in alcun modo incidere sullo svolgimento della didattica e della vita scolastica in generale» e questo «non diversamente» da altre attività «parascolastiche».
Riforma.it ha sentito l’avvocata Ilaria Valenzi, responsabile dell’ufficio legale della Commissione delle chiese evangeliche per i rapporti con lo Stato (Ccers).
«La sentenza del Consiglio di Stato riunitosi il 20 dicembre era da tempo attesa e l’esito già previsto – ha rilevato Valenzi –. In qualche modo, nella nuova decisione si afferma una scelta che ritengo pericolosa: le attività rituali e di culto sono parificate a quelle culturali e quindi possono essere considerate attività extracurriculari quanto la formazione musicale, scientifica, solo per fare degli esempi. Stabilendo questo principio, non si tiene conto dell’appartenenza religiosa e di fede e delle scelte dei singoli individui. Da oggi la benedizione di spazi scolastici, pubblici e condivisi è nuovamente possibile. L’ambito è quello amministrativo e statale, il ricorso è partito da un Consiglio d’Istituto che attraverso una delibera accettava le benedizioni all’interno dei plessi scolastici di sua competenza rivendicando la propria autonomia in materia; il ministero naturalmente si è rivolto, con successo, al Consiglio di Stato».
Una decisione apparsa «saggia, equilibrata e rispettosa della vera laicità della scuola, che non può mai essere contro qualcuno» ha detto con una dichiarazione il professor Adriano Guarnieri, portavoce della diocesi di Bologna guidata dall'arcivescovo Matteo Zuppi. Davvero è stata difesa la laicità dello Stato in questo modo?
«La Ccers ritiene corretta la sentenza del Tar Emilia-Romagna che sancisce un principio di laicità e non di confessionalità dello Stato, elementi importanti e a tutela delle libertà di tutte le esperienze religiose presenti sul nostro territorio; una garanzia di equidistanza e di imparzialità. La difesa del principio di libertà religiosa dev’essere garantito attraverso la partecipazione culturale e non con l’imposizione di manifestazioni rituali. Questa sentenza si pone in antitesi con il principio di laicità».
La sentenza è definitiva o si può ancora ricorrere?
«Alla Corte Europea per i diritti dell’uomo di Strasburgo. Quest’azione non sarà, però e per chi come noi spera di ribaltare la sentenza del Consiglio di Stato, una garanzia di successo, anzi. Ci sono serie possibilità che la sentenza possa essere confermata. Così com’è avvenuto in passato per altri casi simili, come par la questione relativa al crocefisso. Il detto “Margine di apprezzamento” consente ai singoli Stati di poter avere un margine d’interpretazione sul principio di laicità e di libertà religiosa. Sono gli Stati stessi, singolarmente e secondo i loro regolamenti interni, a definire quali libertà e quanti limiti porre in materia di laicità. Questa sentenza, dunque, è difficilmente attaccabile perché si basa su punti tecnici fondati. Nell’ambito del margine di apprezzamento la sentenza è espressione di un utilizzo corretto delle norme dello Stato in base a ciò che la nostra legislazione prevede sin dal 1992».