Perché Lui conosce la nostra condizione; si ricorda che siamo polvere
Salmo 103, 14
Gesù dice: «Io vivo e voi vivrete»
Giovanni 14, 19
Conoscere significa anche amare e prendersi cura, è un verbo curioso usato per definire il rapporto tra Creatore e creature: si ricorda di quello che siamo, del materiale che ha usato come vasaio per «costruire l’impalcatura della nostra esistenza». Ci sono ancora le tracce del fango argilloso nelle sue mani, sporche della nostra sostanza, queste macchie dell’amore e del riguardo ricordano a Dio quello che siamo: «polvere». Conoscere significa qui «comprendere», capire nel profondo perché si vede la realtà interiore, tutti i condizionamenti che limitano la nostra esistenza. Capire nel profondo significa pure amare malgrado la condizione imperfetta di chi si ama. Dio non può essere deluso o ingannato dalle apparenze, egli non ama un fantasma soltanto immaginato o ricreato da chi è accecato dall’amore. Amare significa infine che Dio ha la capacità di comprendere e di «perdonare». Curiosamente la risposta divina alla nostra condizione fragile, argilla raggiunta dai suoi limiti che sono le nostre imperfezioni e peccati, non è la distruzione frettolosa del materiale usato per «costruire l’esistenza», ma il perdono che significa offrire una nuova possibilità. Mentre il moralista ha uno sguardo fissato nel passato, per cui sarebbe quello che abbiamo fatto ciò che conta nel giudizio di valore sull’esistenza, Dio scommette sempre sul futuro dell’argilla, ci dà sempre una nuova opportunità. Il suo giudizio riguarda dunque quello che possiamo diventare; siamo polvere sì, ma polvere che nelle sue mani può diventare strumento per la costruzione del mondo nuovo e della nuova umanità; siamo polvere sì, ma polvere piena dell’amore divino che ci trasforma; siamo polvere sì, ma polvere che nelle sue mani si trasforma in casa del sogno e dimora della speranza.