O voi tutti che siete assetati, venite alle acque
Isaia 55, 1
Gesù si fermò in un luogo pianeggiante, dove si trovava una gran folla di suoi discepoli e un gran numero di persone di tutta la Giudea, di Gerusalemme e della costa di Tiro e di Sidone, i quali erano venuti per udirlo e per essere guariti dalle loro malattie. Quelli che erano tormentati da spiriti immondi erano guariti
Luca 6, 17-19
Come descrivere la salvezza? L’autore del nostro testo, che chiamiamo Secondo Isaia, vuole definire la nuova era che la fine dell’esilio avrebbe inaugurato. Le immagini e le metafore usate «venite, comprate» rimandano al mercato. Il profeta si improvvisa banditore che proclama le virtù dei suoi prodotti «acqua viva, vino e latte, pane», che saziano la sete e la fame di Dio per gli esiliati assetati e affamati della parola di Dio. Quello che sorprende è il «prezzo» che sarà pagato per l’acquisto di questa salvezza piena: niente, tutto è gratuito e dono in Dio! La condizione dell’esilio era stata definita come fame e sete, nostalgia, struggimento, vuoto e solitudine, privazione di Dio, dell’adorazione nel Tempio nei giorni delle feste solenni. L’immagine più forte dell’esilio rievoca l’idea del deserto, paradossale perché Babilonia è la città dei grandi fiumi dove l’abbondanza d’acqua assicura una fecondità impensabile nell’altipiano semidesertico di Giuda. Il deserto è per definizione il luogo più ostile alla vita, gli esiliati sono minacciati di morte nel senso che possono essere assorbiti, assimilati dalla cultura e società pagane babilonesi. Questo è il vero rischio dell’esilio e della dispersione (Galut), scomparire nelle nebbie della storia, perdere la vocazione di popolo eletto con una missione da compiere. Il profeta della consolazione insiste nel suo messaggio di salvezza, Dio aprirà una via del deserto dell’esilio perché il suo popolo ritrovi la via per uscire dalla condizione di smarrimento di sè, di pericolo di caduta divorati dal mostro senza forma della diaspora. Curiosamente Israele scoprirà due vie per uscire dal Galut, la prima sarà assumere la diaspora come realtà esteriore che non intacca la realtà interiore di unione con Dio. La Torah diventerà il vero Tempio e la Parola il luogo della presenza divina in mezzo a Israele, si può essere Israele ovunque. Il secondo sarà il ritorno dall’esilio come attesa dell’opera divina attraverso il Messia che sarà inteso come personaggio collettivo, l’intero popolo, l’intera comunità che ritrova la salvezza, la vera vita in Dio stesso.