Paesi arroccati ai margini dello strapiombo, porte appena accostate che danno su strade di pietra, un antico lavatoio, la chiesa, i nomi delle vie che ricordano un passato recente diviso fra Francia e Italia. Siamo in val Roja, immersi nelle montagne ma a due passi dal mare, una terra di resistenza, abituata a combattere e a difendersi. Loro ci sono ma non si vedono. Sono i migranti venuti da Ventimiglia seguendo le rotaie del treno, in cerca di un passaggio verso la Francia – quella “vera” - sui vecchi sentieri dei contrabbandieri, visto che le strade sono tutte presidiate. «Te li trovi sotto casa, infreddoliti, affamati, distrutti dalla fatica; molti sono minorenni, spesso non sanno nemmeno l'inglese, sono spaventati: come fai a dire di no?». Cédric, Suzel, Catherine, Elisabetta, Simon – e come loro molti altri – hanno accolto in casa i rifugiati, hanno dato loro un tetto e da mangiare, e ora sono in pericolo. Alcuni di loro sono sotto processo, in attesa che lo Stato francese decida che hanno agito per motivi umanitari e quindi non sono perseguibili, secondo l'eccezione del 2012 alla legge sul “reato di solidarietà” che consentirebbe l'aiuto a persone in difficoltà, anche se senza permesso di soggiorno. In teoria: perché, come denunciano le associazioni che si occupano dei migranti, negli ultimi mesi sono ormai molti i casi in cui semplici cittadini sono stati chiamati davanti a un tribunale francese per aver dato un passaggio o ospitato stranieri senza documenti. Il caso più eclatante, che ha valicato – lui sì – i confini, è quello di Cédric Herrou, un contadino di Breil-sur-Roja, che ha già accolto nel suo terreno centinaia di migranti e ora rischia 8 mesi di prigione per il suo gesto. E' un recidivo, Cédric: lo scorso ottobre a Saint-Dalmas de Tende aveva occupato insieme ad altri un vecchio centro di vacanze delle Ferrovie dello Stato, in disuso da tempo. «Abbiamo pulito e messo in ordine, ripreso a utilizzare le cucine, e davamo un tetto a ottanta persone che non avevano un posto dove stare. In una parola facevamo quello che dovrebbe fare lo Stato». Dura poco: quello stesso Stato ha invece provveduto a sgombrare e murare i locali – giusto perché fosse chiaro il messaggio. Cédric non si è fermato e si è dedicato in particolare ad aiutare i minori non accompagnati, i più vulnerabili: «sono proprio quelli che dovrebbero essere presi in carico dallo Stato senza indugio», dice Cédric. «Cerchiamo di aiutarli a fare domanda, ma se li portiamo fisicamente in Prefettura, la polizia ci blocca subito: per loro c'è il rimpatrio immediato in Italia, per noi il sequestro della macchina e un fermo di 24 ore», dice Suzel. Così spediscono le domande via fax, e aspettano.
Il fatto che ci sia anche lo stato di necessità, entrato in vigore in Francia dopo gli attentati dell'Isis, non aiuta. I controlli nelle zone di frontiera si sono intensificati e il clamore provocato dai gesti di solidarietà di Cédric Herrou e dei suoi compagni dell’associazione Roja Citoyenne ha anche un rovescio della medaglia. «La volontà di rendere mediatica questa battaglia ha reso più complicati piccoli e grandi gesti quotidiani che singoli e organizzazioni, chiese comprese, compiono ogni giorno». A parlare è Paolo Morlacchetti, pastore a Nizza della Chiesa protestante unita di Francia (Epudf), impegnata tramite il proprio braccio diaconale, la Cimade, a prestare soccorso (nel loro caso per lo più giuridico) ai tanti che si trovano a transitare in città. Ma non mancano i pasti - un centinaio ogni mercoledì - tutto in collaborazione con realtà confessionali e laiche, privati cittadini e commercianti. «Alberghi che in estate hanno prezzi proibitivi, in inverno si prestano, nell’anonimato, a ospitare con regolarità per qualche notte persone che noi segnaliamo - continua Morlacchetti – Così come commercianti e ristoratori dei quartieri chic di Nizza sono pronti ad aiutarci con il cibo, segno che la risposta a questa emergenza è trasversale». Il pastore pensa anche ai suoi membri di chiesa, interrogati da un fenomeno dalle proporzioni spaventose. «E’ un tema al centro di molti nostri momenti comuni, e le collette vengono sempre ripartite in questi mesi fra il Servizio richiedenti asilo e rifugiati della diaconia valdese a Ventimiglia e la Cimade». Ognuno prova a fare qualcosa ed è forse questo l’aspetto più toccante. La solidarietà ha coinvolto donne e uomini di estrazione e vicende assai differenti, unite dal vedere passare ogni giorno davanti a casa il dramma storico della nostra epoca.