Un'altra strage nel canale di Sicilia
04 novembre 2016
Il presidente della Fcei, pastore Luca Maria Negro: «Appello alle chiese e alle istituzioni europee perché valutino l’esperienza italiana dei corridoi umanitari e l’adottino come buona pratica a difesa di fondamentali principi di umanità»
«L’anima dell’Europa muore nel Mediterraneo, di fronte ai nuovi morti che siamo costretti a contare anche oggi: uomini, donne e bambini inghiottiti dal mare e da politiche migratorie incapaci di comprendere quello che sta accadendo in vaste aree del Nord Africa e del Medio Oriente». Lo afferma il presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, pastore Luca Maria Negro, nel giorno in cui si accertano decine di vittime nel Canale di Sicilia.
«Le persone arrivate questa mattina a Lampedusa insieme a 12 corpi senza vita – affermano gli operatori del progetto Mediterranean Hope presenti al molo Favaloro dell’isola al momento dello sbarco – ci sono parse in maggioranza della Guinea. Tra di loro una persona gravemente ustionata è stata trasferita d’urgenza al poliambulatorio. Ancora una volta a Lampedusa si contano i morti e si fatica a consolare chi sopravvive».
«Di fronte a questa strage che dura da anni, l’Europa si chiude a riccio – prosegue il presidente Negro - negando vie sicure di accesso e protezione a profughi e richiedenti asilo, e così tradendo la sua tradizione in materia di diritti umani. Ed ogni volta sentiamo frasi di circostanza che, di fronte ai muri e alle politiche di chiusura, appaiono ipocrite. Lo diciamo con grande tristezza perché proprio in questi giorni, grazie ai corridoi umanitari che la Fcei sta realizzando insieme alla Comunità di Sant’Egidio e alla Tavola valdese, sulla base di un protocollo con i Ministeri dell’Interno e degli Affari Esteri, stiamo dimostrando che un’altra strada è possibile e sostenibile. Per questo come evangelici italiani, insieme a tanti cattolici con i quali collaboriamo ogni giorno per promuovere accoglienza e integrazione, rinnoviamo il nostro appello alle chiese e alle istituzioni europee perché valutino l’esperienza italiana dei corridoi umanitari e l’adottino come buona pratica a difesa di fondamentali principi di umanità e di tutela del prossimo che bussa alla nostra porta».