Domenica a Roma si terrà una marcia per riportare nel dibattito pubblico i problemi delle carceri italiane e per ribadire l’importanza di amnistia e indulto. Il 5 e il 6 novembre quasi diecimila carcerati attueranno uno sciopero della fame per attirare l’attenzione sulle condizioni degli istituti di pena. «Partiremo dal carcere di Regina Caeli verso Piazza San Pietro – racconta Maurizio Turco, della presidenza del partito Radicale – nel giorno del giubileo dei carcerati, indetto dal papa: facciamo forza sulla sua figura perché è stato lui ad abolire l'ergastolo nel Vaticano e a introdurre il reato di tortura, che invece in Italia ancora non c'è».
Cosa significa questa marcia?
«Non è una protesta, ma una proposta: rientrare nella legalità. Accendiamo i fari sul sovraffollamento carcerario, ma anche sul sovraffollamento giudiziario dei milioni di processi pendenti e delle migliaia di amnistie non conosciute e non deliberate dal Parlamento quali sono le prescrizioni; contro il sovraffollamento di illegalità da parte di questa Repubblica, definita criminale dalla Corte di giustizia dell'Unione europea e dalla Corte Europea dei diritti umani con le loro sentenze di condanna del nostro Paese per violazioni della legalità internazionale. Alcune persone, come Rita Bernardini, sono in sciopero della fame da ottobre perché c'è un emergenza nelle carceri: il Ministro Orlando ha fatto un buon lavoro ma non è sufficiente perché i problemi sono davvero tanti. Si possono risolvere, ma bisogna avere coraggio».
Qual è la richiesta?
«Ieri un esponente politico ha detto che non si può parlare di amnistia vicino alle elezioni, perché l'opinione pubblica non capirebbe. Ma noi chiediamo semplicemente dibattiti: la tv pubblica non informa i cittadini su questi temi, ma decide al posto loro, condizionandoli con il silenzio e censurando un dibattito, come questo, che è fondamentale. Lo è per questioni che riguardano i diritti umani, senza dubbio, ma anche per un problema di costi economici. La mancanza di giustizia nel Paese impedisce gli investimenti, la rinascita e la ricrescita dell'economia italiana, nonostante i tentativi dei diversi governi, e questo perché non si va alla radice del problema: non si ha il coraggio di dire che esistono delle misure come l'amnistia, che dev’essere approvata dal Parlamento ma che a qualcuno può sembrare ingiusta per la sensazione che si cancellino i reati con un colpo di spugna, e intanto c'è il silenzio sulle prescrizioni».
Oltre al fatto che il carcere ha l'obiettivo di rieducare e reinserire il cittadino nella società.
«Sì, è una condizione fondamentale, c’è scritto nella Costituzione. Il carcere riesce ad aver un po’ di attenzione quando si parla di sovraffollamento, ma anche se non ci fosse questo problema, cioè se ciascuno avesse i tre metri quadri di spazio che gli spettano di diritto, rimarrebbe un’altra difficoltà: stare 23 ore al giorno in cella a non fare niente non ha senso. Di questo è necessario parlare con chi ha in mano la Costituzione, anche perché il costo sociale di un carcere organizzato come il nostro è altissimo: le recidive sono il prodotto della diseducazione carceraria».
Sono state molte le adesioni alla marcia?
«Per la prima volta ci sono segnali forti di mobilitazione: Il fondatore di Libera, Don Ciotti, ha aderito, così come le Acli e la Cgil Funzione Pubblica, e poi ci sono regioni che hanno aderito e verranno con il proprio gonfalone, come Piemonte, Basilicata e Calabria. Sono segnali fondamentali di un’attenzione che può contribuire a far cambiare l'idea sull’amnistia in questo Paese. Questa può essere vista non come un atto di liberazione dei colpevoli, ma come un atto di liberazione del Paese dalle proprie responsabilità criminali. L’obiettivo di questa quarta marcia è che non ce ne sia una quinta».