Calo demografico
02 novembre 2016
Rubrica «Finestra aperta», a cura del pastore Massimo Aprile, per la trasmissione «Culto evangelico» di Radiouno, a cura della Federazione delle chiese evangeliche in Italia
Ormai c’è una giornata nazionale dedicata a ogni causa: la giornata dei nonni, dei genitori, quelle dedicate a malattie più o meno rare, alla salvaguardia dell’ambiente. Per affrontare questioni trascurate del nostro tempo ben venga anche la giornata dedicata, ma poi bisognerebbe farvi seguito con argomentazioni e decisioni un minimo meditate.
La scorsa settimana, partendo dai dati semestrali dell’Istat sulle nascite nel nostro paese, il giornale Repubblica ha presentato una inchiesta dalla quale si evince che il calo delle nascite nella prima metà dell’anno conferma un trend già presente nel nostro paese da diversi anni. Da gennaio a giugno 2016 ci sono state 14.600 nascite in meno dell’anno precedente. Una diminuzione del 6%, un dato mai registrato in epoca recente. Questi dati, incrociati con storie di giovani coppie, non necessariamente biologicamente sterili e neppure particolarmente povere, indica una difficoltà generativa complessa, che non può essere ricondotta agli slogan di un fertility day.
La questione nella sua articolazione anche antropologica è stata presentata in maniera efficace in un articolo di Lidia Maggi, teologa battista, pubblicato su Riforma qualche numero fa. Considerare il calo demografico solo da un punto di vista medico significa banalizzare il problema. Intanto, osserva Maggi, se fosse riconosciuta piena cittadinanza a quei bambini e bambine di madrelingua italiana, nati qui da genitori provenienti da altri paesi, questo attenuerebbe il carattere allarmistico delle cifre. La questione ha piuttosto a che vedere con il futuro, con la precarietà del lavoro, con la difficoltà che hanno i giovani di rendersi autonomi dai loro genitori, con una tutela della gravidanza e della famiglia sempre più debole.
Come si fa a pensare che una pubblicità o un giorno dedicato alla fertilità, possano spingere delle persone responsabili a procreare, se le condizioni di lavoro, i diritti di tutela della maternità, e gli aiuti sociali dopo la nascita, come gli asili nido, non sono più garantiti.
A un fenomeno complesso non si risponde in maniera semplicistica.
Accoglienza per i nuovi italiani, revisione delle politiche economiche che rendano il lavoro meno instabile, riaffermazione delle tutele sociali della maternità e della famiglia dovrebbero costituire l’agenda politica di un paese che voglia veramente mettere a tema il futuro delle nuove generazioni.
Gesù ebbe a dire: «Alzate gli occhi e guardate le campagne come già biancheggiano per la mietitura. Il mietitore riceve la ricompensa affinché il seminatore e il mietitore si rallegrino insieme» (Giov 4, 35-36). Ma nel nostro tempo chi semina non raccoglie più e di converso spesso raccoglie chi non ha mai seminato. Il gap tra lavoro e salario, impegno e tutele si è allargato e pochi ricchi accumulano risorse economiche smisurate.
Una società che non oppone politiche efficaci a questa tragedia non può certo dirsi fertile e corre il serio rischio del declino.