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Il prossimo 31 ottobre, il giorno che ricorda l’affissione delle 95 tesi di Martin Lutero contro le indulgenze, si terrà a Lund, Svezia, una commemorazione congiunta alla quale parteciperanno papa Francesco, il vescovo Munib Younan e il pastore Martin Junge, rispettivamente presidente e segretario generale della Federazione luterana mondiale (FLM), e la vescova Antje Jackléen, primate della Chiesa di Svezia. L’incontro, di fatto, aprirà gli eventi ufficiali del Cinquecentenario della Riforma protestante (1517-2017). A questo proposito abbiamo rivolto alcune domande al teologo valdese Paolo Ricca.

Dal suo punto di vista di teologo evangelico, come valuta l’evento di Lund?

Lo valuto molto positivamente. Prima di tutto perché, a mia conoscenza, è la prima volta che un papa si associa pubblicamente a una celebrazione della Riforma, promossa dai luterani in casa luterana. In particolare, il fatto che papa Francesco si rechi a Lund accentua una volontà di decentramento del pontefice, che si sposta da Roma: lo aveva già mostrato inaugurando l’anno giubilare in Africa. Ora si reca in Svezia, in una città storica del protestantesimo, per associarsi a una celebrazione della Riforma. Certo, il termine corretto non sarebbe “celebrazione” ma “commemorazione”, un termine neutro che indica il fare memoria di qualcosa prescindendo da qualsiasi giudizio di valore sull’evento che si ricorda. E’ la parola proposta dal documento cattolico-luterano “Dal conflitto alla comunione”. Tuttavia, io mi immagino che i luterani svedesi “celebreranno” la Riforma. E a parte le questioni linguistiche, il fatto che il papa sia a Lund significa che egli considera la Riforma un evento rilevante per la storia cristiana in generale, anche per la storia del cattolicesimo. Rispetto a Lund non vedo altro che aspetti positivi. Poi, certamente, molto dipenderà da quello che i protagonisti diranno in quella sede. Si tratta di un fatto nuovo, inedito che richiede molto coraggio da chi lo ha reso possibile. Solo le persone libere – e, a mio parere, la principale caratteristica di papa Francesco è quella di essere un uomo libero – fanno accadere cose nuove, inedite.

Naturalmente non mancano critiche a questo evento sia da parte cattolica sia da parte evangelica. C’è chi dice, tra gli evangelici, che queste aperture ecumeniche decreterebbero la fine della Riforma, il fatto che la Riforma non abbia più nulla da dire. Cosa ne pensa?

E’ esattamente il contrario! E’ Roma che ha sempre sostenuto, fino al Concilio Vaticano II, che la Riforma non avesse niente da dire, non fosse altro che un’eresia un allontanamento dalla verità, un veleno spirituale. Questa è stata la posizione cattolica fino al Vaticano II, cioè praticamente fino a ieri! Ora non è più così. Il Concilio Vaticano II ha abolito la categoria dell'eresia, nei confronti delle chiese evangeliche. Certo non le definisce chiese, le chiama comunità ecclesiali, ma si discosta completamente dalla posizione ufficiale sostenuta per quattro secoli e mezzo. La presenza di papa Francesco a Lund è il riconoscimento che la Riforma è stata un evento positivo per il cristianesimo nel suo insieme. Non è il segno che la Riforma non ha niente da dire. Al contrario, essa comincia a dire qualche cosa anche là dove finora non aveva detto nulla, cioè in campo cattolico.

Considerando in modo più generale il Cinquecentenario, qual è il messaggio della Riforma che ancora oggi rimane attuale, di cui anche il mondo di oggi ha bisogno?

Il nostro mondo ha bisogno di Dio. La Riforma è stata una grande riscoperta di un aspetto fondamentale del messaggio evangelico – e quindi di un aspetto di Dio, perché noi conosciamo Dio soltanto attraverso il messaggio della Bibbia. Questo aspetto è la giustizia di Dio, la giustificazione del peccatore, la grazia incondizionata, immeritata. Questo evangelo – che non è tutto l'evangelo cristiano, ma ne è un punto fondamentale - ha messo in luce la Riforma che ha riscoperto la realtà di Dio riscoprendo la sua giustizia, che non è una giustizia che Dio pretende ma che Dio dona. Può darsi che questo tema non sia centrale nella sensibilità religiosa o laica del nostro tempo, ma quello che la Riforma ha fatto è stato questo: parlare di Dio secondo la Sacra Scrittura. Questo, almeno nel nostro mondo secolare in Occidente, mi pare sia una messaggio di un'attualità assoluta, quello che potremmo definire l'unum necessarium: riprendere coscienza della realtà di Dio.

Nel dialogo tra la chiesa cattolica romana e le chiese luterane la Dichiarazione congiunta sulla giustificazione per fede, sottoscritto ad Augusta (Germania) nel 1999, è una pietra miliare. In che modo ha inciso questo documento nelle relazioni tra le due famiglie confessionali?

La Dichiarazione congiunta è un documento di enorme importanza e valore, anche per l’introduzione del concetto di “consenso differenziato” per cui si è d'accordo sulle affermazioni centrali e ci si differenzia su questioni non centrali che non impediscono la comunione. Tuttavia, la mia opinione è che il documento non abbia inciso nella vita delle chiese. Questo principalmente per il fatto che la giustificazione per fede riveste un’importanza diversa per cattolici e luterani. Per i luterani è centrale nella vita di fede, per i cattolici no. Esagerando un po’, direi che a livello di sensibilità spirituale profonda la giustificazione per fede non appartiene al vissuto della fede del mondo cattolico. Questa asimmetria pesa sull’esito concreto del documento. In più, la comunione che lascia presagire la Dichiarazione congiunta è del tutto teorica perché non c’è accordo sulla questione del ministero. L’accordo sulla giustificazione da sola non basta. In fondo, un accordo si era già trovato nel XVI secolo con la dottrina della doppia giustificazione proposta ai dialoghi di Ratisbona del 1541. Anche in quel caso, l’accordo non bastò a cambiare le cose. Se non si trova un accordo globale, soprattutto sulla questione controversa del ministero, quello sulla giustificazione da solo non basta.

Immagine di Pietro Romeo

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