Alle quattro del pomeriggio del 13 giugno 1946 Umberto II, ultimo re d’Italia, saliva sul quadrimotore che da Ciampino lo avrebbe portato a Lisbona, luogo scelto per l’esilio. Così si concludevano i 900 anni della dinastia Savoia e gli 85 di regno d’Italia e così si conclude lo studio di Gianni Oliva che affronta, come dichiara il titolo, «gli ultimi giorni della monarchia»*: dal 9 maggio, giorno in cui Umberto assume il trono, al giorno della partenza.
Oliva analizza innanzitutto gli avvenimenti che precedono tale epilogo, gli anni in cui la monarchia lega il suo destino a quello del fascismo, condividendone le scelte politiche e rendendosi complice delle gravi colpe di cui questo si macchia.
La figura di Umberto si profila come tragicamente inadeguata a far fronte ai drammatici avvenimenti in mezzo a cui si trova, combattuta fra dubbi riguardo la politica paterna e l’incapacità di reagire, di mettere in discussione l’autorità del re: lungi dal segnare un distacco, a livello ufficiale, «appare funzionale e omogeneo al regime». Anche i dubbi che, secondo alcuni, questi avrebbe manifestato in occasione dei tragici avvenimenti dell’8 settembre, non hanno alcun riscontro sul piano dei fatti. Costui si trova a essere protagonista, assumendo a partire dalla liberazione di Roma (5 giugno 1944) la «luogotenenza del Regno», e si mostra deciso a cambiare linea rispetto al passato, mantenendo un rapporto leale nei confronti del governo espresso dai partiti del Comitato di liberazione nazionale, nel quadro di un paese sconfitto, devastato e occupato dagli alleati.
La scelta di tenere un referendum popolare, contestualmente alle elezioni per l’Assemblea costituente, pone nelle mani degli italiani la decisione in merito alla futura forma istituzionale dello Stato riaprendo le speranze di coloro che sostengono la monarchia. I più attenti fra i favorevoli alla repubblica, che sulla carta gode di una larga maggioranza – tutti i partiti del Cln tranne i liberali –, si accorgono con il passare dei giorni che la vittoria non deve essere data per scontata, anche grazie alla figura «accattivante» del nuovo sovrano.
Lo svolgimento delle elezioni nei giorni del 2 e del 3 giugno rappresenta una grande vittoria per la democrazia: in un paese appena uscito dalla guerra, in cui manca tutto, dai trasporti alle matite copiative, quasi 25 milioni di italiani e di italiane (per la prima volta) partecipano al voto. Le urne però rivelano un paese diviso in due: il Centro-Nord ha votato a grande maggioranza per la repubblica e il Sud (dal Lazio in giù) per la monarchia; la repubblica prevale, ma non come ci si attendeva: 54% contro 46%.
Nei giorni successivi si verificano disordini, particolarmente gravi a Napoli dove si contano morti e feriti e in altre zone del Meridione; a questi si aggiungono contestazioni sulla modalità del conteggio e ricorsi alla Corte di Cassazione. Essendo la proclamazione ufficiale dei risultati demandata a quest’ultima, tutti ne attendono la pronuncia ufficiale che invece ritarda (si avrà soltanto il 18 giugno) e in un clima di tensione il governo decide di prendere l’iniziativa; il 12 giugno il presidente del consiglio De Gasperi viene proclamato Capo dello Stato provvisorio esautorando di fatto il sovrano: «può essere la soluzione del problema, oppure l’inizio della guerra civile», dice Oliva.
Umberto II a questo punto deve prendere una decisione, forse per la prima volta, in autonomia: egli decide di anteporre gli interessi dell’Italia a quelli della sua dinastia. Il pericolo di un periodo di disordini e di ulteriori morti è reale e la partenza «permette all’Italia di riprendere il suo cammino di reinserimento tra i paesi democratici». La conclusione dell’autore è che «sul piano storico (e insieme morale) la sua scelta di responsabilità politica evita all’Italia i rischi di deriva» e rivendica per l’ultimo sovrano «un merito che, in sede storiografica, va riconosciuto e sottolineato».
In Piemonte, regione dove la Resistenza era stata molto forte, la vittoria della repubblica non fu schiacciante: 57,1% contro il 42,9% della monarchia. A Torino la repubblica prevalse con il 61,4% contro il 38,6%, mentre nella provincia le percentuali furono di 58,24% a 41,76%. E i protestanti? A livello nazionale, fra i valdesi –scrive G. Bouchard (I valdesi e l’Italia, Claudiana, 1988) – «ben pochi votano monarchia il 2 giugno 1946». Ma nell’ambito del Pinerolese e valli valdesi, i giornali locali riportano dati secondo i quali per esempio in val Pellice la vittoria della repubblica fu sofferta (a Bobbio Pellice vinse largamente la monarchia).
* Gianni Oliva, Gli ultimi giorni della monarchia. Giugno 1946: quando l’Italia si scoprì repubblicana, Milano, Mondadori, 2016, pp. 228, euro 19,50.