Il mio popolo ha commesso due mali: ha abbandonato me, la sorgente d’acqua viva, e si è scavato delle cisterne, delle cisterne screpolate, che non tengono l’acqua
Geremia 2, 13
La donna gli disse: «Signore, tu non hai nulla per attingere, e il pozzo è profondo; da dove avresti dunque quest’acqua viva?»
Giovanni 4, 11
Queste parole concludono il primo oracolo di Geremia, dopo il capitolo iniziale del libro che narra la sua vocazione, i suoi timori dovuti alla giovane età, e le rassicurazioni di Dio: «Ti faranno la guerra, ma non ti vinceranno, perché io sono con te per liberarti». Una vita intensa la sua, pericolosa, vissuta con passione, un racconto ricco di suspense e di immagini, di oracoli e di pagine storiche di alta drammaticità.
L’oracolo è un rimprovero a Giuda che ha dimenticato la propria storia ed ha abbandonato il suo Dio. Il tono è sarcastico. I vari popoli, pur avendo delle divinità fasulle non ci rinunciano, Israele ha Jahweh, che ha operato prodigi, e gli preferisce dei incapaci, e inconsistenti, e crede così di fare scelte intelligenti!
Nella Scrittura troviamo molte metafore sull’acqua. E questa ha una forza indiscutibile: il Signore è la sorgente d’acqua viva, corrente, fresca che disseta e soddisfa ed è offerta gratuitamente. Non è stupido faticare e spendere per costruire cisterne dove si raccoglie acqua stagnante, tiepida, poco dissetante?
Per secoli i cristiani hanno puntato il dito contro Israele, squalificandolo e perseguitandolo per le sue infedeltà, ma nella loro storia non solo ne hanno replicato gli errori, ma ne hanno compiuti di più gravi.
L’offerta dell’«acqua viva» che toglie la sete e può trasformare chi la beve «in una fonte che scaturisce in vita eterna», è stata ignorata. I cristiani hanno preferito attingere a «cisterne screpolate», costruite da uomini. Il messaggio dell’Evangelo della grazia e della misericordia, della giustizia e della pace è stato spesso sostituito da ideologie e pratiche ingannevoli, piene di odio e violenza, di superbia e disprezzo. Il secolo scorso ne è stato un tragico esempio.
Uno dei motti della Riforma era il ritorno «ad fontes», indicando con esse la Scrittura, contrapposta alla tradizione ecclesiastica. Risaliamo la corrente fino al nostro Dio, là dove sgorgano le fonti della nostra gioia (Sal. 87, 7).