Un film del 1989 che ebbe grande successo (non del tutto meritato, per la sua ambiguità), ebbe un titolo che come molte volte in Italia non rispecchiava quello originale: L’attimo fuggente era infatti ben diverso da «La società dei poeti estinti» (Dead Poets Society). Forse proprio a una invisibile associazione fra poeti deve aver pensato l’olandese Cees Nooteboom (1933), scrittore, viaggiatore, traduttore di poeti, poeta egli stesso in prima persona: forse l’unico a cui venga dedicata un’antologia dalle raccolte di versi che procede a ritroso, dall’ultima silloge, via via ripercorrendo all’indietro nel tempo le precedenti*.
Nooteboom, proprio in ossequio a questa ipotetica congrega, aveva dedicato ad alcune decine di suoi «predecessori» una sorta di florilegio commemorativo intorno alle loro tombe. Corredato delle foto di Simone Sassen, Tumbas (Iperborea, 2015) celebrava l’appartenenza, in realtà anche dei lettori, a una comunità invisibile nella quale compaiono Montale e Apollinaire, Dante e Iosif Brodskij, T. S. Eliot e Virgilio: i lettori di poesia – scriveva – «sono come i monaci certosini: spesso insieme, quasi sempre soli».
Ora leggere Luce ovunque (2012, che dà anche il titolo all’antologia complessiva) significa anche attraversare nei secoli i riferimenti stringenti, i rimandi, i tributi di riconoscenza che il poeta dei Paesi Bassi rivolge a molti che l’hanno preceduto: varie composizioni sono rivolte a grandi nomi della poesia mondiale (Lucrezio, Borges, Ungaretti, Orazio, Montale, di cui è stato traduttore). Ma quelli ai poeti non sono gli unici rimandi significativi per queste composizioni che partono da avvenimenti minimi o da paesaggi, da notazioni liriche o dall’erudizione: vi è anche una religiosità diffusa, di cui è difficile dire se sia creata dal poeta stesso o se rifletta una sua formazione. Vista l’origine neerlandese, si può ipotizzare una buona consapevolezza della materia biblica, anche se eventualmente il Dio della Bibbia può ritrarsi o non essere riconosciuto: «Come vedere per la prima volta un angelo/ e sapere che non esiste...» (Provviste); «Grammatica sbriciolata,/ immagini sfocate senza legame,/ del vento il suono/ ma non più il nome» (Sera –forse il leggero vento di brezza attraverso il quale Dio incontra Elia?).
Direttamente viene evocato il «salmo della pioggia». Sei-sette salmi menzionano la pioggia, ma soprattutto in un certo senso ci sentiamo autorizzati a vedere anche nel testo biblico la potenza della poesia; forse Nooteboom si riferisce al Salmo 72? Beh, sarebbe un testo di gran pregio compositivo oltre che di grande solennità: «Egli scenderà come pioggia sul prato falciato,/ come acquazzone che bagna la terra...», una potenza evocativa e immaginifica che poco avrebbe da invidiare a molti lirici moderni e contemporanei.
Ma il nostro autore osa ancora di più, e conferma per noi che anche la predicazione può essere un lavoro poetico: «Linguaggio, levigato nei sogni, sui pulpiti» (Senza un’immagine), e addirittura sembra irridere (ma senza cattiveria) al Lutero delle 95 Tesi: «... Accanto alle tracce del grande trattore/ abita la volpe con la sua religione (...) La volpe affigge le sue tesi alla porta (...) La settima tesi parla del miracolo/ e della caduta. Conta le stelle. Restituisci/ il tempo al postino. chiedi alla volpe/ cosa ciò sia, e perché» (Ciò). Chissà, di evocazione in evocazione sembra addirittura sfiorare il blasfemo e vedere se stesso come Dio: «... tra i cento volti del tempo/ e l’unico invisibile volto di Dio/ il cui nome non posso pronunciare,/ sempre lo stesso,/ sono io». Ci chiediamo se non stia esagerando, ma attenzione: l’antologia va a ritroso e questi versi (Conciatori e tintori, Marrakesh), che stanno nelle ultime pagine, sono del 1978. Se la poesia è fatta (anche) per interrogarci, Nooteboom ci riesce benissimo.
* C. Nooteboom, Luce ovunque 2012-1964. Torino, Einaudi, 2016, pp. 210, euro 14,50.