Si svolgerà domenica 18 settembre la Giornata europea della cultura ebraica, una manifestazione giunta alla diciassettesima edizione e che vuole far scoprire la storia, i luoghi e le tradizioni degli ebrei attraverso centinaia di eventi in 75 località in Italia.
Quest’anno il tema scelto dagli enti organizzatori è Lingue e dialetti ebraici, uno specchio della ricchezza e della complessità di una cultura che nei secoli si è adattata a ogni luogo del mondo in cui ha cercato di costruire una comunità e ha a sua volta influenzato le culture ospitanti. Dall’ebraico all’aramaico fino alle lingue ebraico-europee, fino ai dialetti sparsi per tutta Italia: il programma è ampio e tocca tutta la nostra penisola e si può consultare sul sito dell’Ucei, l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, che coordina e promuove l’iniziativa nel nostro Paese.
Non solo un evento, però, ma anche un’occasione per riflettere sull’attualità e la forza di una cultura antica ma sempre viva, che ha saputo nei secoli superare ogni tipo di minaccia e di tentativo di soffocarla, e che nel nostro Paese, come racconta Sira Fatucci, coordinatrice della giornata in Italia, «non è ancora così conosciuta in Italia».
È tutto pronto per questa nuova edizione?
«Certamente, anche perché nel rispetto del sabato ebraico domani saremo fermi, quindi siamo pronti per la partenza di tutte le iniziative in tutta Italia. Quest’anno abbiamo addirittura 75 località che partecipano a nord, a sud e nelle isole. Inoltre, questa è la diciassettesima edizione in Italia, quindi ormai siamo una realtà piuttosto consolidata e ogni anno c’è più entusiasmo e più voglia di conoscere e farsi conoscere».
Il tema centrale è quello delle lingue e dei dialetti ebraici. Come mai è stato scelto?
«Lingue e dialetti ebraici, o lingue e linguaggi dell’ebraismo, significa un’apertura a tutto campo sia verso l’interno dell’ebraismo stesso ma anche all’interno di ogni nazione. In ogni Paese in cui gli ebrei sono arrivati si sono adattati in qualche modo alla lingua locale, quindi hanno mantenuto in parte l’ebraico, specialmente nella lingua che serve per la liturgia, ma si sono adattati alla lingua locale: è così che sono nati dialetti importantissimi o lingue come lo yiddish nell’Europa occidentale oppure il ladino nell’area della Turchia, della Grecia e così via, che sono un misto di lingua locale infarcita di vocaboli di ebraico, ma lo stesso discorso vale per l’Italia stessa, dove i dialetti dell’ebraismo sono andati in parte a contaminare quella che è la lingua italiana e in parte a dare vita a veri e propri dialetti locali, come il giudaico-romanesco, il bagitto a Livorno, il giudaico-venenziano o il giudaico-piemontese.
Tutte queste varianti linguistiche ci raccontano di una cultura ebraica che è storicamente cosmopolita. Ancora oggi possiamo considerare la cultura ebraica come influenzata dalla diaspora e in grado di adattarsi al mondo?
«Credo proprio di sì, anche perché ormai sono migliaia di anni che il popolo ebraico si è sparso in tutta Europa e poi in tutto il mondo. Insomma, le vicissitudini storiche del popolo ebraico sono piuttosto note, quindi ormai si sono radicati nei Paesi in cui sono andati a vivere e hanno adottato la lingua e il linguaggio del posto dove sono approdati, ma al contempo hanno contribuito a influenzare la cultura locale. Infatti in molte località troviamo sia usi ebraici che ormai non si sa più nemmeno che siano di origine ebraica, sia ricette di cucina e altro, che ci permettono di parlare di contaminazioni a tutto campo. Quello che ha fatto scegliere questo tema quest’anno è proprio la volontà di sottolineare che la diversità è un arricchimento, e questo vale anche per la diversità linguistica, anche all’interno dell’ebraismo stesso».
A Torino si terrà una mostra e uno spettacolo dedicato allo humour dal ghetto. La cultura ebraica viene spesso identificata con questa capacità di autoironia, di parodia verso se stessi. Esiste ancora oggi nella produzione contemporanea della cultura ebraica questa dimensione?
«Sicuramente sì, anche in Italia ma sopratutto se si pensa all’umorismo presso la cultura ebraica americana o presso la cultura ebraica tedesca. Al centro di tutto sta la battuta fulminante che a volte salva da situazioni che possono essere più o meno tristi: c’è sempre questo guizzo importante, e addirittura nel 2012 la Giornata Europea della Cultura Ebraica fu dedicata proprio all’umorismo ebraico, che esiste ed è forte. Per averne un bellissimo assaggio si può andare a Torino dove si potrà assistere a uno spettacolo, Pantomima semiseria di Purim nelle parlate giudaico-italiane. Purim è una festività ebraica che cade intorno a febbraio-marzo e che ricorda lo stravolgimento delle sorti: è una festività molto allegra, la più allegra del calendario ebraico».
Lo humour ebraico e più in generale la risata è spesso stata uno strumento di difesa. C’è ancora oggi questa dimensione della difesa, cioè, ci si sente ancora in qualche modo minacciati a livello di cultura?
«A livello di cultura in realtà l’ebraismo è ormai piuttosto forte, si è fortificato negli anni dal dopoguerra a oggi, però diciamo che c’è sempre in modo sotterraneo un antisemitismo più o meno latente in diverse aree e l’attenzione dev’essere sempre massima. Mi sembra opportuno ricordare la metafora del canarino che viene portato dentro alle miniere e in mancanza di ossigeno ovviamente muore. Ecco, il canarino somiglia un po’ all’ebraismo: quando si comincia ad attaccare l’ebraismo è segno che i valori di democrazia e tolleranza stanno cominciando a vacillare. Per questo è molto importante che si sorreggano invece con grande forza i bastioni della tolleranza, della democrazia, della civiltà, a difesa della cultura, ovviamente non solo di quella ebraica».