«Poeta degli oppressi»: così lo definisce Nino Agnello, figura di spicco della letteratura agrigentina degli ultimi cinquant’anni, concludendo la sua dotta rivisitazione di Ove rapina luce (1953), Gemito della creazione (1970) e Il grido degli oppressi (1976) che rappresenta il cuore del libretto*. In particolare, poeta degli oppressi del suo (e nostro) profondo Sud amato senza veli, contemplato nei violenti chiaroscuri della sua accecante bellezza e delle sue plurisecolari ingiustizie.
E tale è stato Ernesto Naso – pastore valdese del quale ricorrono quest’anno il novantesimo anniversario della nascita e il trentesimo della morte – non solo con le poesie delle tre raccolte appena menzionate e con altre pubblicate postume per l’occasione, ma anche con la sua predicazione, dal pulpito e «fuori tempio», per tutti coloro che hanno avuto il privilegio di incontrarlo, di leggerlo, di ascoltarlo, di intrecciare le loro biografie con la sua, dai suoi famigliari «secondo la carne» a quelli «secondo lo Spirito», dalla nativa Riesi – in quella Sicilia centrale che allora, soprattutto a causa del soffocante potere della mafia, rappresentava uno dei territori più miseri d’Europa – alle Puglie (Orsara e Taranto), da Bergamo alla Toscana (Pisa e infine Firenze) e, per brevi periodi, in altri luoghi.
Ne sono testimoni, fra gli altri, l’amico e fratello nel ministero Ennio Del Priore, ideatore e curatore del libretto; il figlio maggiore Paolo, autore dell’introduzione; il pastore Salvatore Ricciardi, del quale viene ripubblicato in calce il necrologio del 1986 per Ernesto; e pure, nel suo piccolo, il sottoscritto, che tramite Ernesto e Paolo Naso, attratto proprio dalla passione di entrambi per la causa degli ultimi, fin dalla sua adolescenza fu portato da Bergamo a conoscere e ad amare a sua volta, tutti insieme, il Mezzogiorno d’Italia, il protestantesimo e Gesù Cristo.
Come il professor Agnello non manca di puntualizzare nei suoi commenti, dal punto di vista stilistico la poesia essenziale, ma pure straordinariamente evocativa di Ernesto Naso è figlia della sua ricca cultura letteraria e in particolare delle sue frequentazioni dei grandi «ermetici» del primo Novecento: Quasimodo, Ungaretti, Montale e altri ancora. Ma la sua ispirazione, soprattutto nella scelta dei temi più ricorrenti – le pene, lo sfruttamento e l’ansia inappagata di riscatto di braccianti, operai e prostitute; la nostalgia degli emigrati per la terra d’origine, fatta di amore-odio; le grandi e le piccole violenze; guerra e pace; la denuncia dello sfacelo dell’ambiente naturale e l’anelito a una nuova creazione; fede e dubbio; mal di vivere e, nonostante tutto, mai soffocata speranza – è figlia della spontanea ribellione di uno spirito mite, umile e sofferto, ma pure convinto che chi crede nel Crocifisso risuscitato possa reagire positivamente all’altrimenti insopportabile contraddizione fra le tenebre del tempo presente e la luce del Regno che viene.
Luce che il pastore Naso sapeva cogliere per sé e riflettere per altri non solo con la lettura, lo studio e la predicazione della parola di Dio o con la sua creatività evangelizzatrice e diaconale, quest’ultima assai vivace soprattutto durante i 13 anni del suo ministero pastorale a Taranto e nella vasta diaspora di quella nostra chiesa, ma anche con la contemplazione delle meraviglie del creato, con la sua poesia e con la musica di Johann Sebastian Bach, della quale era maestro al pianoforte e che per lui era non solo arte nobilissima, ma anche sublime preghiera. Luce che splende anche tra le tenebre del nostro mondo di oggi, perché le tenebre non l’hanno mai sopraffatta, né riusciranno mai a sopraffarla.
La poesia di Ernesto Naso. 1926-1986, a cura di Ennio Del Priore, Domodossola, PrintGrafica Pistone, 2016, pp. 60, euro 12,00.