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Nel gennaio del 2015, dopo il terribile attacco alla redazione del settimanale satirico francese Charlie Hebdo, molti si erano schierati in sostegno del giornale con le celebri parole Je suis Charlie. Altri, anche chi non ha pronunciato o messo sulla propria bacheca social il primo di tanti je suis, aveva comunque sottolineato come libertà di espressione e di stampa fossero valori fondanti di questa parte di mondo, arrivando anche a evidenti contraddizioni, come quella della partecipazione alla sfilata dei capi di governo dopo l'attacco al settimanale, di politici che in patria rendono difficile, per usare un eufemismo, la vita dei giornalisti.

Tuttavia, dopo la vignetta di Charlie Hebdo che denuncia le nefandezze intorno al sisma italiano, ma che rappresenta in modo crudo le vittime, l'indignazione ha fatto gridare allo scandalo, evidenziando ancora una volta la difficoltà di comprendere i contorni di che cosa sia la satira. L'ambasciatore francese a Roma, per esempio, ha dichiarato che quella vignetta non rappresenta i francesi: ma perché dovrebbe? - viene da pensare. Ne parliamo con Elisa Marincola, giornalista e portavoce dell'Associazione Articolo 21, che si occupa di libertà di informazione e di stampa.

Il dibattito su Charlie ha ritirato in ballo cosa è libera espressione e cosa no: quali sono i confini?

«Farei una distinzione tra la libertà di espressione di tutti, come liberi cittadini, e altre forme di espressione che si tutelano anche in modo diverso: una è quella del giornalismo e dell'informazione, e quella della satira. Da sempre quest'ultima è stata un po' al di fuori dei canali tradizionali: una satira rispondente alle norme deontologiche giornalistiche o al politically correct non risponde alla sua natura. La satira è di per sé scorretta, in alcuni momenti ci fa sorridere e in altri è fastidiosa. Personalmente non ho guardato con piacere la vignetta sulla tragedia del terremoto, ma non posso dire per questo che Je suis Charlie non valga più e mi meraviglio di chi ha detto di essersene pentito. L'ultima polemica sulla satira è iniziata quando un magazine in Danimarca pubblicò alcune vignette sull'Islam: a quel tempo forse non abbiamo compreso quanto fosse importante difenderne l'autonomia e la libertà».

Resta il fatto che ancora oggi non si comprende appieno cosa sia la satira.

«C'è un equivoco di fondo anche nell'identificare un giornale di satira con una nazione o con delle istituzioni: un autore di satira è un individuo con una sua autonomia. C'è un po' di di speculazione da parte di noi giornalisti su questo evento. C'è un eccesso di visibilità per una vignetta tra le tante: ricordiamo che Charlie Hebdo è riuscito a fare vignette anche sulla propria tragedia, e prendere quest'ultima come esempio per la condanna in toto di un settimanale di satira è una forzatura. Il mondo della politica si sta aggiungendo al dibattito e usa questi episodi come rafforzativo di proprie posizioni, fatto che trovo offensivo per chi ha vissuto quella tragedia e ha avuto perdite. Noi abbiamo rilanciato l'appello della Federazione nazionale della stampa perché i media si facciano carico di continuare a seguire come si svilupperà la ricostruzione e le inchieste: questo, invece che la polemica pretestuosa su una vignetta, merita attenzione».

C'è stato più scandalo per questa vignetta che non per le solite interviste morbose del post-sisma: perché continuano a non scandalizzarci i fatti?

«C'è molta speculazione sul dramma. Da una parte è importante raccontare quelle tragedie, dall'altra c'è un eccesso di drammatizzazione, ricerca dei particolari più scabrosi, delle storie più tragiche e in generale poco rispetto per il dolore. In questi giorni l'audience in tv e i click sui siti aumentano, ma occorre non confondere l'attenzione al dramma con la speculazione fine a se stessa. L'attenzione alla vignetta rientra in questa seconda categoria. La distanza dai fatti influenza la nostra opinione. Come è successo per i bambini siriani: morti, come Aylan, o salvati come Omran, ma quando arrivano alle nostre porte quegli stessi bambini ci danno fastidio. Questo è un problema che riguarda tutti i cittadini e la qualità della nostra solidarietà e della nostra vita. Aver fastidio quando veniamo toccati in maniera abbastanza superficiale e provarne di meno quando sentiamo il capo dell'Autorità anticorruzione che parla di troppa sabbia e poco cemento nelle costruzioni deve farci meditare. Troppo poco abbiamo letto su questi fatti, anche se sono ancora tutti da verificare. La mia indignazione primaria, come giornalista e come cittadina, dovrebbe essere su quello. Hanno scritto Mentana, Saviano e Diamanti su questa deriva pilotata dai media: sentire più o meno vicino i drammi che accadono riguarda tutti noi».

Immagine: By Claude Truong-Ngoc / Wikimedia Commons - cc-by-sa-3.0, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=37826446