Raccoglierò il rimanente delle mie pecore da tutti i paesi dove le ho cacciate e le ricondurrò ai loro pascoli, saranno feconde e si moltiplicheranno
Geremia 23, 3
Gesù dice: «Ho anche altre pecore che non sono di questo ovile; anche quelle devo raccogliere ed esse ascolteranno la mia voce e vi sarà un solo gregge e un solo pastore»
Giovanni 10, 16
Confesso di essere perplesso. Colui che disperde le pecore è lo stesso che le raduna? Colui che punisce il suo popolo è lo stesso che lo consola? La promessa è bella, ma il presente rappresentato dalla minaccia babilonese e dalla dispersione pesa come un macigno. Sembra quasi di udire i pensieri degli ebrei, le mormorazioni pro o contro il profeta Geremia, i dubbi e le speranze: «Perché, come, fidarsi del Signore?». A volte, la Scrittura non offre punti di aggancio, appigli con cui sostenere la nostra logica e il nostro buon senso. E in effetti, davanti a un’affermazione come questa, non c’è spiegazione razionale che tenga, ma solo l’affidarsi senza contropartita. Non capisco, ma mi fido: credo che Chi parla non bara.
Forse bisognerebbe davvero comportarsi come bambini: pensare meno e «sentire» di più. Seguire più le ragioni del cuore e meno quelle della mente. Perché se è vero che «Dio è amore» (I Giov. 4, 8), allora è usando la logica dell’amore che si coglie il significato delle sue parole. Dio, il babbo buono di Gesù che ama i suoi figli e le sue figlie, proprio perché gli vuol bene a volte li deve punire. Ma, proprio come un genitore umano, non è contento quando deve farlo. Non vede l’ora che il castigo finisca, per tornare a coccolare le sue creature. Considerato da questo punto di vista – è così strano l’agire di Dio, che non riesce a smettere di amare il suo popolo e continua a volere per lui un futuro benedetto? No! Eppure, rimango perplesso: perché è tanto difficile capire la logica dell’amore?