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Chayn Italia, dal web una “cassetta degli attrezzi” contro la violenza di genere

Arriva in Italia il portale, nato in India e Pakistan, per dare informazioni pratiche alle vittime di violenza

La violenza di genere in Italia, nonostante le molte parole spese in ricorrenze come l’8 marzo o in occasione delle giornate mondiali dedicate al tema, continua a rappresentare un dramma che per gran parte dell’anno viene vissuto nel silenzio da parte delle vittime.. Secondo l’ultimo rapporto Istat dedicato al tema, riferito al 2014 ma sempre valido, nel nostro Paese circa una donna su tre fra i 16 e i 70 anni subisce violenza nel corso della propria vita: stiamo parlando di poco meno di 7 milioni di donne coinvolte da un fenomeno che nell’80% dei casi è perpetrato da partner o persone conosciute. Ogni persona vittima di violenza porta con sé una storia fatta di sofferenza e, spesso, di silenzio e di paura nel denunciare.

Per provare a dare delle risposte concrete e per fornire strumenti di azione alle persone vittime di violenza, alla fine di marzo è stata presentata la versione italiana di Chayn, un portale web dedicato al tema e ricco di informazioni legali, guide e consigli elaborati da volontarie ed esperte, con la speranza e l’obiettivo di diffondere buone pratiche esistenti. «Lo scopo del nostro progetto – racconta Laura Grimaldi, responsabile della comunicazione di Chayn Italia – è di colmare il vuoto informativo che spesso una donna che si trova in una relazione violenta incontra su Internet».

Quali sono gli elementi di discontinuità rispetto al modo in cui si è trattato il fenomeno finora?
«Un elemento chiave è il tipo di informazioni che si possono trovare sul sito: sono strumenti pratici, legali, informazioni sulla salute e anche guide per riconoscere e affrontare la violenza domestica. Accanto a questo, però, c'è la componente territoriale, che non bisogna dimenticare, e che per ora abbiamo sviluppato a Roma insieme ad alcuni sportelli antiviolenza, grazie anche alla collaborazione della rete Dire, Donne in rete contro la violenza. Uno degli obiettivi di questo periodo per Chayn Italia è creare una mappatura di tutti i servizi sul territorio nazionale».

Com’è nata l’idea di Chayn Italia?
«Chayn Italia nasce dall'incontro di una delle coordinatrici, Elena Silvestrini, con Hera Hussain, la ragazza che ha fondato Chayn in India e in Pakistan. Si tratta di due esperienze che abbiamo trovato molto interessanti e utili e che nei Paesi in cui sono state sviluppate hanno avuto grande successo. Da questo incontro è nata l'idea di portare anche in Italia questa esperienza, adattandola naturalmente al contesto culturale e politico del nostro paese, che ha però in comune con gli altri il contrasto al fenomeno della violenza sulle donne, che è purtroppo strutturale, con numeri molto alti da fronteggiare».

Il portale intende sostituirsi ai centri d’ascolto sul territorio?
«No, assolutamente. C'è una differenza essenziale: un portale su Internet, per quanto ben strutturato, non potrà mai sostituire il lavoro dei centri e degli sportelli, questa non è la nostra intenzione in nessun modo. Anzi, quello che vogliamo fare è collaborare con le strutture, dare loro la possibilità di avere un megafono per poter comunicare e raggiungere quante più donne possibili. Da parte nostra la missione è quella di dare a queste donne degli strumenti di analisi della propria condizione, che molto spesso è difficile anche soltanto da riconoscere».

La violenza domestica è uno dei reati meno denunciati rispetto all’incidenza, perché è difficile capire a chi rivolgersi mantenendo una propria tutela. Anche nella filosofia di Chayn difendersi da ritorsioni è centrale?
«Certo. Uno degli aspetti più rilevanti da cui siamo partite sentendo la necessità di portare Chayn in Italia sono proprio i numeri della violenza sulle donne, che secondo l’ultima rilevazione Istat sono altissimi. Nel 2014 sono state uccise 152 donne da partner o ex partner, quindi poco meno di una ogni due giorni, e la violenza di genere si sviluppa soprattutto dentro casa, tra le mura domestiche. Proprio per questo cerchiamo anche di lavorare sulla sicurezza delle donne che consultano Chayn: uno degli accorgimenti che abbiamo preso è l'inserimento di un tasto su cui c'è scritto “Lascia questo sito”, cliccando il quale si può rapidamente uscire dal portale e si viene reindirizzate altrove per non destare sospetti, per tutelare la privacy anche dentro casa e non solo online».

Come viene costruita la “cassetta degli attrezzi” di Chayn? Esiste una redazione stabile o ci si basa sul lavoro volontario?
«Siamo tutte volontarie, circa 60, con un’età media di 28 anni, sparse un po' per tutta Europa. Un nucleo abbastanza grande è qui in Italia, ma altre ragazze sono nel Regno Unito, in Francia, in Belgio e in Olanda. È una commistione tra chi è rimasta e chi è partita. La prima fase ha visto la creazione del sito e l'elaborazione dei contenuti che trovate ora su chaynitalia.org, ma ora stiamo sviluppando nuovi gruppi di ricerca per approfondire i contenuti che già abbiamo, fare la mappatura dei servizi sul territorio nazionale di cui parlavamo prima e anche sviluppare nuove idee. Tra i filoni da sviluppare c’è quello di dare una visione più plurale e intersezionale della violenza di genere, dedicandoci ad aree specifiche come la violenza sulle donne disabili, quella sulle donne migranti, quella sulle donne trans. Insomma, c’è bisogno di approfondire ogni livello di questa violenza nascosta».

Finora ha parlato del lavoro su Chayn soltanto al femminile. La sensibilità maschile è così scarsa su questo tema da non portare a nessun tipo di partecipazione?
«Non credo sia una questione di scarsa sensibilità, sicuramente è più difficile intercettare in questa fase degli uomini che vogliano lavorare a questo progetto. In realtà, più che difficile intercettare gli uomini è sicuramente più facile intercettare delle donne, però ovviamente il nostro progetto è aperto e saremmo molto interessate anche ad avere un contributo maschile, che altrove, sia in Pakistan sia in India, oppure nel Regno Unito, esiste da tempo».

Un contributo maschile potrebbe essere prezioso per comprendere alcune dinamiche, per decostruirle, perché comunque la violenza di genere è molto più diffusa nei confronti delle donne.
«Sì, e questo è vero sia a livello di numeri, sia come costruzione culturale e strutturale. Le differenze socioeconomiche e lo squilibrio dei rapporti uomo-donna sono una realtà oggettiva nel nostro Paese e che favorisce l’esistenza strisciante della violenza. Tuttavia, in Italia stanno nascendo gruppi di uomini che si occupano di violenza di genere dal punto di vista maschile, eterosessuale o meno, e questo è molto interessante e sicuramente completa una discussione, un dibattito e un approccio alle violenze di genere che da parte femminile è fondamentale e prioritario, ma sicuramente non completo».

Immagine: By Elisa Patrissi, via http://chaynitalia.org/