Mai smettere di raccontare
21 aprile 2016
Un giorno una parola – commento a 1 Timoteo 2, 3-4
Prestami attenzione, popolo mio! Porgimi orecchio, mia nazione! Poiché la legge procederà da me e io porrò il mio diritto come luce dei popoli
Isaia 51, 4
Dio, nostro Signore, vuole che tutti gli uomini siano salvati e vengano a conoscenza della verità
1 Timoteo 2, 3-4
La nostra fede nasce da una voce, dall’inizio. Conosciamo Dio perché ha parlato. E perciò possiamo parlare anche noi. Siamo chiamate e chiamati a parlare, a raccontare, ad annunziare. Possiamo raccontare, dobbiamo raccontare. Una voce ci mette in moto, come anche Abramo, Mosè e tutte e tutti gli altri sono stati mossi da una voce. E, raccontando, lo facciamo proprio ed entra nelle nostre viscere. Così finalmente possiamo mostrare compassione verso coloro che bussano alle nostre porte e avverrà la risurrezione fra di loro: nuova vita scorrerà. Il messaggio pasquale è che possiamo raccontare della nuova vita in mezzo a noi, nonostante tutto.
In questo periodo penso spesso che non abbiamo raccontato abbastanza. Come è possibile che abbiamo dimenticato certe esperienze di prima, durante e dopo la II Guerra mondiale, esperienze di respingimenti e di accoglienza di rifugiati, di morte e vita per loro.
Non bisogna mai smettere di raccontare, di trasmettere. Vorrei dirlo qui con una massima wesleyana: «Se noi abbiamo sperimentato la salvezza, non possiamo non volere la salvezza per le altre e gli altri». E quindi siamo spinti a trasmettere, a raccontare la nuova vita in mezzo a noi, affinché tutti gli esseri umani siano alla conoscenza di questa buona notizia. Bisogna raccontare.
La nostra fede nasce da una voce. Dalle parole di Marta da Magdala, di Pietro, dei due viandanti sulla via di Emmaus e anche di tutti gli altri e le altre che hanno incontrato il Risorto.