Le paure dell’Europa, il coraggio della fede
23 marzo 2016
Rubrica «Essere chiesa insieme» andata in onda domenica 20 marzo durante il «Culto evangelico», la trasmissione di Radiouno a cura della Fcei
L’Europa è sotto assedio? Siamo davvero circondati da un esercito pronto a invadere il Vecchio Continente? È tornato il tempo dei muri e dei cavalli di frisia a marcare confini che avevamo sognato aperti e liberi? I recenti risultati delle elezioni amministrative in Germania confermano e rafforzano una tendenza che si rileva da tempo. Gli europei sono impauriti dai flussi migratori in arrivo dal Nord Africa e dal Medio Oriente e reagiscono barricandosi nei loro paesi, invocando la chiusura delle frontiere sino a limitare la libertà di circolazione per gli altri e, forse, anche per loro stessi. L’immagine che meglio riflette questo stato d’animo è quella della fortezza medievale che, cinta d’assedio, alza i ponti e si prepara a resistere. E così, rinchiusi tra alte mura, noi europei rischiamo di ritrovarci prigionieri di noi stessi e delle nostre paure. Un’immagine avvilente che distrugge quella di un’Europa solidale, riconosciuta nel mondo per la sua capacità di superare gli interessi nazionali per affermare il bene comune e far valere i diritti umani. Insomma, quell’Europa che, sulle macerie materiali e morali della Seconda Guerra mondiale, seppe costruire una nuova comunità di popoli e di nazioni.
Da molte chiese cristiane arriva un messaggio diverso. Proprio quelle tedesche, a esempio, sono impegnate in grandi progetti di accoglienza delle centinaia di migliaia di profughi arrivati in Germania qualche mese fa; come quelle olandesi, svedesi, danesi, svizzere. Anche piccole chiese di minoranza, come quelle evangeliche in Grecia o in Italia, sono attive nell’accoglienza e integrazione dei migranti. Rispetto all’Europa della politica e degli Stati, le parole e i gesti di molte chiese vanno in un’altra direzione: non l’allarme dell’invasione ma il coraggio dell’accoglienza; non la paura per la diversità ma il confronto e il dialogo; nessuna richiesta di nuovi muri ma, al contrario, l’impegno ad aprire canali umanitari per chi è costretto alla fuga e rischia di finire nelle mani criminali degli scafisti.
L’accusa è di buonismo e di ingenuità. E queste accuse diventano senso comune, come la paura e persino l’odio nei confronti del migrante che verrebbe a toglierci quel poco che abbiamo. Una cattiva politica asseconda queste paure, perché sa di poterne trarre un vantaggio elettorale, come in effetti accade. Ma una buona politica sa che tra i suoi doveri c’è anche quello di cercare soluzioni difficili e impopolari e che, in un mondo globalizzato, la fortezza è una trappola mortale. Allo stesso modo, una fede debole ha paura di misurarsi con la cultura e il pensiero dominanti e si limita a predicare generiche parole di circostanza. Ma una fede matura e adulta sa che il messaggio evangelico impone scelte difficili, dolorose e talora contrarie all’opinione prevalente. E sa anche che, pur piccola quanto un granello di senape, potrà spostare le montagne e abbattere i muri che stiamo costruendo attorno a noi stessi.