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Studiare la Riforma? Sì, risalendo alle sue origini

Si è concluso martedì 15 marzo il ciclo d’incontri sulla Riforma organizzato presso due licei pubblici di Torino

Capire e studiare la Riforma, a scuola. È questo l’intento che ha animato i cinque incontri pomeridiani ospitati nelle aule magne di due licei di Torino, il classico «Massimo d’Azeglio» e lo scientifico «Alessandro Volta». Un percorso rivolto a docenti e studenti d’ogni ordine e grado, ma altresì a semplici curiosi, per nutrire di sostanza storica, teologica e filosofica le annunciate celebrazioni per il cinquecentenario. Un cammino iniziato un mese or sono, che è stato reso possibile dal coordinamento virtuoso di diversi enti: il Centro evangelico di cultura «Arturo Pascal» di Torino, l’Ufficio scolastico regionale del Miur, la Regione Piemonte, la Città di Torino, la Facoltà valdese di Teologia di Roma e l’Editrice Claudiana.

A dare vita al «Giubileo della Riforma» – questo il titolo della rassegna – sono stati dodici relatori specializzati: Lothar Vogel, Pawel Gajewski e Fulvio Ferrario, professori della Facoltà valdese di Teologia; Susanna Peyronel Rambaldi, docente di storia moderna all’Università Statale di Milano; Simone Maghenzani, ricercatore presso l’Università di Cambridge; Martin Wallraff, docente di storia della chiesa all’Università di Basilea; Massimo Rubboli, docente di Storia del cristianesimo all’Università di Genova; Claudio Tron, ex insegnante e predicatore locale; Paolo Naso, docente di Scienza politica a La Sapienza di Roma.

Particolarmente densa è stata la tavola rotonda conclusiva, che sulla domanda «Ha senso parlare oggi della Riforma?» ha chiamato al confronto il prefetto della Biblioteca Ambrosiana di Milano mons. Franco Buzzi, il teologo e pastore valdese Paolo Ricca e lo storico Adriano Prosperi. Un cattolico, un protestante e un «laico» – questa la definizione di Prosperi fornita da Ricca, e accettata con un sorriso dall’interessato – che, da storici, hanno convenuto su due punti fermi. Primo: nel merito il legame tra Riforma e modernità è innegabile e fondamentale. Secondo: dal punto di vista del metodo questo legame viene spesso male indagato.

Secondo Prosperi, non è ad esempio corretto mettere «sulle spalle di Lutero» quello che è stato Lutero dopo, nell’interpretazione delle varie epoche, quello che non poteva sapere e che non ha detto, quello che altri hanno detto o creduto che lui volesse dire (dagli illuministi ai nazisti). «La Riforma di Lutero non è il luteranesimo liberale del 700-800», ha ammonito lo storico toscano. Sulla medesima linea mons. Buzzi, che ha ricordato come la secolarizzazione, anch’essa fenomeno della modernità, «indebolisca» lo stesso messaggio luterano: «la modernità consegue la Riforma ma la Riforma contesta in anticipo la secolarizzazione che ne consegue».

Dal canto suo, il teologo valdese non ha esitato a indicare nella «profonda ignoranza religiosa» il principale ostacolo alla conoscenza della Riforma. Ricalcando due argomentazioni diffuse, Ricca ha costruito il suo intervento su una antitesi: la riforma ha fallito / la Riforma ha esaurito il proprio compito. In realtà, ha spiegato, nessuna di queste affermazioni è completamente vera, perché «il cristianesimo è una religione incline alla Riforma», dai tempi in cui l’apostolo Paolo riformò il giudeo-cristianesimo. «Il protestantesimo non è solo cattolicesimo riformato, è un nuovo cristianesimo con un cuore antico: le Scritture. Come nel secolo apostolico», ha concluso.

Come al termine d’ogni incontro, a due densi giri di tavolo è seguita una sessione di domande aperte. «Tenendo da parte la questione del potere in Italia, che differenza c’è tra cattolici e protestanti dopo il Concilio Vaticano II?»; «Da una “diversità scomunicata” siamo davvero giunti a una “diversità riconciliata”?»; «Perché non prevedere un’ora di storia delle religioni? Se è stato possibile qui, oggi, per quale motivo non lo facciamo sempre?». Questi e altri i quesiti provenienti dal pubblico, forieri di spunti notevoli.

Ma in attesa di nuovi incontri, sin qui, che cosa abbiamo imparato? Ha senso, oggi, studiare la Riforma? Certamente sì, soprattutto sui banchi di scuola. Ma per farlo bene, per davvero, bisogna sforzarsi di risalire alle origini del suo contesto storico. «Riformando la Riforma» dalle liturgie del tempo.

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