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La Sicilia, avamposto di conflitti

Vicina ad un’area geografica interessata da lotte intestine e dilaniata da interessi internazionali, l’isola potrebbe essere coinvolta in prima linea in un intervento militare

Negli ultimi tempi ci era piaciuto immaginare la Sicilia come un’isola di salvataggio per disperati naufraghi in cerca di una terra accogliente e sicura. Lampedusa, che è Sicilia, ci ha fatto inorgoglire per lo straordinario slancio con cui il suo sindaco, Giusi Nicolini, e la popolazione si sono spesi per accogliere migranti. Il recente film di Gianfranco Rosi, Fuocoammare, col suo premio, l’Orso d’oro, ricevuto a Berlino, ci dice che la nostra soddisfazione è largamente condivisa, anche in ambienti internazionali.

Ci vuole poco, però, ad aprire gli occhi e ad affacciarsi ad una realtà che non è quella della vita contro la morte, della solidarietà contro lo sfruttamento, del riscatto contro l’abbandono. Ora si affacciano alla vista ombre nere, bandiere nere, uomini vestiti di nero, incappucciati, determinati a uccidere, distrugge, fare stragi, tagliare gole in un macabro rituale che sa di rito satanico. Basta spingere lo sguardo oltre quella striscia di mare al di là di Lampedusa e posare gli occhi sulla Libia. Si vede un paese devastato da lotte intestine, dilaniato da interessi internazionali bramosi del suo petrolio, terra di conquista di chi uno Stato non ce l’ha ma lo vuole costruire sul suolo altrui, una specie di cuculo che depone le uova nel nido di altri.

Già si contano i primi morti italiani in Libia: Salvatore Failla e Fausto Piano, due tecnici andati in Libia per lavorare. Poco importa se sono stati uccisi da balordi in cerca di riscatto o da combattenti in assetto di guerra. Tornano chiusi nelle bare e questo addolora, ma è anche un triste segnale di quel che potrebbe ancora capitare in un paese in cui le armi non smettono di crepitare e le cui schegge mortali si spandono in molteplici direzioni.

Si respira un senso di preoccupazione se non proprio di paura. Si pensa a come fermare l’avanzata dell’Is o Daesh. Il dialogo con dei fanatici sembra proprio improponibile, e poi, con chi si andrebbe a dialogare? Il nemico oggi appare come un’Idra, un mostro mitologico primordiale con tante teste. Oltre alle fazioni libiche ci sono fazioni che si combattono in Siria. Ci sono Stati ben più consistenti che si spendono per aumentare il caos. Così la Russia uccide per difendere Assad; la Turchia uccide Curdi, i suoi nemici di sempre, e fazioni pro Assad; l’Arabia saudita e alcuni paesi del Golfo fanno la guerra all’Iran e non disdegnano di finanziare il Califfato; gli Usa combattono l’Is, ma stanno dalla parte della Turchia, contro Assad, dimenticando il ruolo che l’Arabia saudita svolge con il Califfato. E che dire del nostro Paese che non si fa scrupolo di vendere armi al migliore offerente? Tra questi soggetti non sembra facile individuarne uno che possa chiamare un timeout, un fermiamo le bocce e ragioniamo. Non ci sembra di potere scorgere un soggetto, nazionale o internazionale, con la statura morale adeguata per invitare tutti a trasformare la spade in falci.

Le immagini delle migliaia di morti in Siria, le immagini dei paesi siriani devastati, le immagini delle migliaia di profughi che fuggono dalla guerra vengono presto dimenticate ed ecco intravedersi la possibilità di un intervento militare – intanto, in Libia – a dispetto della nostra Costituzione, a dispetto del periodo di pace che abbiamo goduto lasciando le spade rinfoderate, a dispetto delle note considerazioni che la guerra produce danni e devastazioni che richiedono anni per essere lenite, ma non dimenticate.

La sensazione che si prova è di trovarsi in mezzo al guado. Ancora non siamo entrati in guerra, ma abbiamo il territorio messo a disposizione della Nato e degli Usa che non disdegnano di entrare in guerra. In Sicilia c’è Sigonella, base della marina militare Usa, che ora ospita droni Usa. Adesso sono droni da ricognizione e da difesa, ma quanto ci vorrà per trasformarli in mezzi d’attacco? Sempre in Sicilia c’è la base a Trapani-Birgi con i suoi tornado, attivi nella crisi libica del 2011, e il sempre crescente inquinamento del territorio. Poi c’è l’impianto radar «Muos» di Niscemi, oggetto di preoccupazione per le sue funzioni belliche e per l’inquinamento elettromagnetico nonché causa di interminabili contenziosi giudiziari e politici. Quella Sicilia che ci piaceva immaginare come un salvagente lanciato in mezzo al mare per soccorrere naufraghi, oggi si va sempre più delineando come un avamposto di conflitti e si sa che nei conflitti la peggio tocca sempre alle popolazioni civili.

Foto: U.S. Navy photo by Photographer's Mate 2nd Class Damon J. Moritz. - Quest'opera è stata rilasciata dalla Marina Militare degli Stati Uniti d'America con codice di identificazione 030325-N-9693M-001. Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=8173555

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