I diritti non sono una coperta corta
25 febbraio 2016
Un commento a margine del rapporto sui diritti umani di Amnesty International
Oggi parliamo dei diritti delle coppie dello stesso sesso, ieri parlavamo del reato di tortura che in Italia ancora non c'è, domani (ancora) chiederemo verità per Giulio Regeni. La situazione dei diritti violati nel nostro paese necessita di un aggiornamento continuo e di un impegno costante per non lasciare niente e nessuno indietro al giorno prima. Se guardiamo al resto del mondo la situazione non fa che peggiorare, come dimostra l'ultimo rapporto di Amnesty International, che parla di un 2015 come anno nero per diritti: i numeri li abbiamo già dati ieri, oggi constatiamo che in Italia come all'estero la gestione dei diritti sembra voler tirare una coperta corta, come se il garantirli a qualcuno inevitabilmente li mettesse a rischio per altre persone. «Niente di più errato – dice Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia – quando cominciamo a mettere i diritti di uno contro quelli dell'altro, qualcuno non li avrà mai».
A proposito della garanzia dei diritti nel mondo, stiamo vivendo un ciclo o una lenta discesa?
«Le analogie con il passato sono evidenti, per certi versi sembra di essere tornati agli anni '90 dello scorso secolo, a quel decennio della guerra dei Balcani e del genocidio del Rwanda, perché di crimini contro l'umanità e crimini di guerra in questi ultimi mesi ne abbiamo visti troppi. Per altri aspetti sembra di essere tornati al post 11 settembre 2011, dopo i crimini contro l'umanità di New York, in cui retorica dell'antiterrorismo, leggi sommarie, forme di sorveglianza di massa, il pensiero che i diritti umani siano un ostacolo alla sicurezza, erano costanti e oggi sembrano tornati alla ribalta. Poche novità e diritti umani a rischio per centinaia di milioni di persone. Se fosse un circolo sarebbe meglio, perché a un certo punto si chiuderebbe e si comincerebbe a capire che le istituzioni internazionali che si occupano dei diritti umani vanno rafforzate anziché indebolite. Si capirebbe che i difensori dei diritti, (156 uccisi nel 2015), sono persone il cui lavoro è importante e nobilita le società e i paesi in cui vivono. Stiamo vivendo una discesa verso il basso, dove 70 anni di lavoro per i diritti sono a rischio per interessi miopi, per politiche di corto respiro. Basta guardare come l'Europa accoglie i rifugiati: con panico, chiusura, affidandosi a un governo di un paese come la Turchia e pagandolo perché trattenga i profughi. Un approccio vergognoso a un problema globale».
E in Italia?
«Dalle nostre parti il quadro è deludente: sembra che le istituzioni abbiano paura di fare passi avanti nel campo dei diritti umani. Il 2015 è passato senza che il reato di tortura venisse inserito nel codice penale, senza la garanzia degli stessi diritti per le coppie omosessuali, come se fare qualcosa in questo campo portasse via consenso politico. Sono molti i fattori che entrano in gioco: la tradizione, il timore di disubbidire a una forza spirituale, la mal celata idea che estendendo i diritti si creino dei pericoli o li si tolga a qualcun altro. Lo vediamo guardando alle primarie negli Stati Uniti: con terrore vedo i successi che miete un candidato xenofobo, con un odio religioso profondo. Queste forme di anti-cultura contro i diritti umani prendono piede anche in Europa, dall'Ungheria alla Slovacchia, ma anche più vicino a noi, come se fossero un ostacolo a un disegno egemonico populista in cui i diritti sono solo per qualcuno. A proposito della questione migratoria, nonostante il nostro paese non sia più il punto di ingresso principale della frontiera marittima europea, sentiamo comunque i discorsi populisti che collegano il fenomeno al terrorismo. Anche l'approccio degli hotspot è sotto un monitoraggio stretto da parte di Amnesty, perché ci sono preoccupazioni oltre a un problema generale di insufficiente accoglienza, di distribuzione solidale e corresponsabilità di gestione dei reinsediamenti».
La campagna di Amnesty di questi giorni per la verità sul caso di Giulio Regeni
Sicurezza contro diritti umani: si continua a seguire questa strada.
«È un cortocircuito ma non c'è solo questo elemento, ci sono anche degli interessi: ogni volta che c'è un conflitto c'è chi ci rimette, ma anche chi ci guadagna. Il traffico di armi è al centro di ogni guerra, non è un caso che mentre il mondo si interroga su come combattere il terrorismo, gli unici indici in positivo siano quelli del settore delle armi».
Come si muoverà Amnesty Italia nel prossimo periodo?
«In queste ore ci recheremo davanti all'ambasciata egiziana perché è trascorso un mese dalla scomparsa di Giulio Regeni e vogliamo ribadire che non ci accontenteremo di nulla di meno della verità. Da poco è stato pubblicato uno spot con Roberto Saviano che ricordando la faccenda di Sacco e Vanzetti ci vuole aiutare a parlare dei tanti personaggi di oggi, molto simili a loro, dei prigionieri di coscienza, dei condannati a morte, perseguitati e torturati. Siamo alla vigilia dell'8 marzo e torneremo a parlare del dramma dei matrimoni forzati e precoci, e poi proseguiremo sul lavoro in occasione dell'anniversario della crisi siriana per porre fine al conflitto e per l'accoglienza dei rifugiati».