La via d’uscita
15 febbraio 2016
Un giorno una parola – commento a Giobbe 2, 10
Abbiamo accettato il bene dalla mano di Dio, e rifiuteremo di accettare il male?
Giobbe 2, 10
Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze; ma con la tentazione vi darà anche la via d’uscirne, affinché la possiate sopportare
I Corinzi 10, 13
La Scrittura spesso rende quelle tensioni che accompagnano la vita di fede ancora più evidenti. Non le risolve a buon mercato, tende piuttosto a portarle alla luce, forse proprio per evitare che esse svuotino, come un fiume carsico, la nostra intima fiducia in Dio.
Una di queste tensioni, forse, nelle sue diverse espressioni, la più ricorrente, è legata all’esperienza del male. Se vi sono scritti apostolici, come la lettera di Giacomo, che ricordano ai credenti di non ascrivere la tentazione – e quindi l’influenza e l’impatto su di noi di ciò che chiamiamo “male” nelle sue molte forme – a Dio; in altri brani, come quelli scelti per oggi dal lezionario, la possibilità che Dio sia amministratore del bene ma anche del male, è considerata una realtà da accettare. La domanda di Giobbe non è una domanda retorica, è l’interrogativo aperto di un credente che posto di fronte al problema del male – ma dovremmo dire più correttamente: all’esperienza del male – non accetta di essere sommerso da questa potenza, senza richiamarsi al punto fermo della propria vita. Non è qualcuno che ritiene di essere in balia di un Dio capriccioso a pensare in questo modo, piuttosto un individuo che si rivolge a Dio consapevole dell’infinita differenza tra il Creatore e la sua creatura. È però vero che questo modo di guardare verso il Signore risulterebbe privo di senso, se ad accompagnarlo non vi fosse la certezza che anche nella tempesta della tentazione, Dio non intende abbandonare i suoi figli e le sue figlie, donando loro anche una via d’uscita.
Chiunque legga le parole di Giobbe o quelle dell’apostolo Paolo sa che non è attraverso una teoria preconfezionata che il credente può affrontare e risolvere il problema del male. La domanda di Giobbe rimane aperta, la certezza di Paolo può essere compresa solo in quello spazio, che noi chiamiamo fede e nel quale, di giorno in giorno, siamo chiamati ad affrontare l’esperienza del male. In questo spazio, la via per uscirne non rimane un lontano miraggio.