Il timore della radicalizzazione in carcere
12 febbraio 2016
Sciotto, Fcei: dobbiamo regolamentare la vita religiosa con i diritti, non con i divieti
Il 15 febbraio l'associazione Antigone organizza un convegno su diritti religiosi in carcere. Dopo 40 anni le istituzioni stanno da tempo riflettendo su un nuovo ordinamento penitenziario, ma l'aspetto religioso è rimasto ancora fuori dai tavoli di lavoro. «Questo convegno non è stato organizzato dalle nostre chiese ma da un'associazione con la quale abbiamo una pluriennale esperienza di collaborazione – dice Francesco Sciotto, coordinatore del gruppo di lavoro sulle carceri della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia – il carcere è un luogo dove vengono negati molti diritti: quello religioso non è un tema centrale, ma uno dei tanti che rappresenta la negazione dei diritti ai detenuti. Recentemente, in vista della auspicata nuova legge sull'ordinamento penitenziario, il Ministero ha avviato dei tavoli di riflessione, ma questo tema non è rientrato. E stato annunciata la disponibilità a riflettere con la società civili sulle tematiche escluse. Noi auspichiamo che anche il tema della libertà religiosa in carcere possa essere trattato». Uno dei temi centrali della discussione sarà quella della radicalizzazione in carcere: «le amministrazioni e i ministeri si rendono conto che il carcere è uno dei luoghi dove il radicalismo religioso attecchisce – continua Sciotto – uno dei modi di gestire il radicalismo oggi, per esempio, è negare a un detenuto di avere la visita di un imam: ma questa non è la soluzione. Dobbiamo cercare di regolamentare la vita religiosa delle persone attraverso i diritti, non i divieti».
Ne parliamo con Elisa Olivito, costituzionalista e docente all'Università la Sapienza di Roma.
Cosa possiamo aspettarci dalla nuova legge?
«Nella legge è prevista una delega al Governo perché adotti delle norme che riconoscano i diritti e i bisogni religiosi, ma non solo, delle persone detenute straniere. Sotto questi profili la disciplina dell'ordinamento è in parte deficitaria. Sia perché risente dalla differente posizione che all'interno delle strutture carcerarie viene riconosciuta alla confessione Cattolica, sia per una differenza di fondo che rimane tra le confessioni religiose con intesa e senza Intesa. La questione dei diritti religiosi in carcere dovrebbe essere garantita indipendentemente che si sia stranieri o meno. La libertà e i diritti legati alla sfera religiosa dovrebbero essere riconosciuti a quelle persone che appartenendo a minoranze sono cittadini italiani».
Queste libertà non sono tutelate in assoluto?
«Ad oggi è difficile per chi appartiene a confessioni religiose diverse da quella cattolica esercitare le proprie libertà sia dal punto di vista individuale che dal punto di vista collettivo. Sia per quanto attiene in particolare all'assistenza religiosa da parte di ministri di culto, sia per quanto riguarda la possibilità di avere a disposizione dentro le strutture carcerarie degli spazi per celebrare i propri riti. La normativa per ora prevede la presenza di un cappellano in ogni struttura carceraria e un luogo adibito per i detenuti cattolici, mentre per altri la presenza dei ministri di culto è legata alle previsioni delle singole Intese, quando ci sono».
Parlando di diritto in carcere, qual è l'emergenza più grande?
«Se rimaniamo alla sfera culturale e religiosa, sicuramente il pluralismo della popolazione carceraria impone delle sfide ulteriori all'ordinamento penitenziario, sotto diversi profili: si pensi a quello dell'alimentazione e la necessità di considerare le esigenze legate al vitto, oppure le necessità legate al Ramadan per le persone di religione islamica, e così via. Ci sono diverse sfere toccate dal profilo religioso di cui bisogna tener conto. In questa fase si è sentita strumentalizzata da più parti una lettura dei diritti religiosi in carcere: si è detto, a ridosso degli attentati di Parigi, di non consentire l'ingresso di Imam nelle strutture carcerarie per cercare di arginare fenomeni di radicalizzazione, mentre fino a pochi mesi prima si era parlato dell'esatto contrario. Le libertà religiose non possono essere strumentalizzate per motivi di sicurezza fermo restando le necessità peculiari di una struttura carceraria».
Impedire il diritto può essere controproducente?
«A volte la situazione può essere paradossale: considerato che ci sono pochi imam autorizzati ad entrare nelle strutture carcerarie, spesso alcuni detenuti si sono auto-assunti questo ruolo di guida religiosa, cosa che potrebbe avere degli aspetti rischiosi in termini securitari. A volte le ristrettezze che si pongono creano situazioni o prassi che non tutelano né la libertà religiosa né la sicurezza. La necessità di rispettare la libertà religiosa nonostante ci si trovi in una situazione segregante è stato più volte sottolineato dalla Corte Costituzionale: non è consentita una restrizione ulteriore delle libertà di chi si trova in carcere, oltre quella data dalla pena detentiva. Il rispetto dei diritti fondamentali delle persone risponde anche ad una esigenza di tutela della persona, che mantiene la sua umanità che va rispettata e salvaguardata in vista anche della vera finalità della pena, ovvero la funzione rieducativa».
Ogni soluzione dovrebbe in ogni caso tenere conto del principio di laicità, che richiede allo stato un equidistanza rispetto alle questioni religiose. Di questo bisognerebbe parlare, anche nelle strutture carcerarie.
La Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia organizzerà un importante convegno sul tema “essere minoranza in carcere” che spesso può significare vivere nuovi ghetti e nuovi isolamenti: ma anche uno spazio di rinnovato dialogo. Insieme a Ipca, l'Associazione internazionale dei cappellani delle carceri, organizzazione internazionale ed ecumenica, la Fcei organizza a Roma tra il 29 febbraio al 3 marzo 2016 questo incontro internazionale. Ci saranno volontari, cappellani, pastori e preti provenienti da Svezia, Polonia, Russia, Lituania, Lettonia, Estonia da Israele o dal Libano e tanti altri paesi. Le minoranze, anche in carcere, non sono solo religiose, ma anche etniche, o di genere: rispondere anche teologicamente alla domanda su cosa significa essere minoranza in questo luogo è l'obiettivo dell'incontro.