Cercasi inverno
26 gennaio 2016
I cambiamenti climatici influenzano il meteo su larga scala e nella nostra quotidianità. Un tema che interroga le chiese e ci richiama alle nostre responsabilità
Parlare di clima non vuol dire soltanto essere preoccupati per l'ambiente; l'argomento porta con sé anche altre responsabilità, etiche, morali e di giustizia. Come sappiamo il clima influenza direttamente l’economia umana e ancora prima le condizioni di vita delle persone: sempre più spesso parliamo di rifugiati climatici, persone obbligate a spostarsi perché i luoghi in cui vivono diventano sempre più inospitali.
Olav Fykse Tveit, segretario generale del Consiglio ecumenico delle chiese (Cec) ha più volte parlato dell’importanza dell’impegno politico riguardo i temi vicini ai cambiamenti climatici, soprattutto in concomitanza della Cop 21, i negoziati sul clima delle Nazioni Unite svoltisi a fine 2015, e di come l’impegno delle chiese possa partecipare a sollecitare azioni concrete in tal senso. Sulla questione dei rifugiati e dei profughi legati al clima, la stessa Cec è impegnata da anni perché siano essi riconosciuti: Guillermo Kerber, a capo del dipartimento del Consiglio ecumenico delle chiese per la cura del creato e la giustizia climatica aveva parlato di urgenza in questo processo di legittimazione.
Negli ultimi mesi l'Italia il clima è stato anomalo: siccità e temperature alte al nord e al centro, dove l'inverno sembra non arrivare; alluvioni e nevicate al sud. Anni di dibattito sul riscaldamento globale e sulle responsabilità umane sull'ambiente, ci portano a pensare che anche queste novità possano esserne una conseguenza.
Ma parlando di siccità «non possiamo fare un collegamento diretto con il riscaldamento globale e con i cambiamenti climatici – dice Daniele Cat Berro della Società Meteorologica Italiana e redattore di Nimbus – le siccità, così come le alluvioni, fanno parte della nostra storia climatica: quest'anno l'assenza di acqua è particolarmente pronunciata e precoce. La causa probabilmente è stata un’anomala persistenza degli anticicloni sull’Europa meridionale. Ciò che possiamo dire è che le temperature eccezionalmente elevate in montagna sono indubbiamente legate ai cambiamenti climatici dovuti all’attività umana».
L'assenza di acqua può essere un problema anche per le riserve idriche, su scala più ampia: «In questo momento i ghiacciai dormono tranquilli sotto la neve – continua Cat Berro – ma se dovessero mancare le nevicate primaverili allora avremo un problema grave, perché i ghiacciai si peleranno con i primi caldi estivi. Su di una scala di secoli, ma anche solo di decenni, la tendenza è comunque quella dello scioglimento: le proiezioni indicano che alla fine del XXI secolo rimarrà ben poco dei ghiacciai alpini, meno del 10 % dell’area attuale. Questo significa la sparizione di tutti i ghiacciai al di sotto dei 3500 metri. Man mano che progredirà questa diminuzione, avremo un’alterazione dei regimi idrici: meno acqua in estate, diversa stagionalità dell’afflusso dell’acqua, meno turismo». Ma i problemi più gravi saranno probabilmente lontani dalle montagne: «l’acqua finisce negli oceani e ne determina l’innalzamento del livello (parlando dei grandi ghiacciai dell’Antartide e della Groenlandia). Se nel 2100 avremo un mare un metro più alto – conclude il ricercatore – questo vorrà dire grandi migrazioni, centinaia di milioni di persone che si sposteranno, poiché le zone in cui vivono saranno allagate e avremo sempre più rifugiati climatici di cui si parla troppo poco e troppo lentamente».