La forza del ventennio
19 gennaio 2016
Sul monte Giano ricompare l’immensa scritta in onore di Mussolini e con essa tornano le polemiche
La grandeur autoreferenziale di Benito Mussolini è stata pari probabilmente solamente alla sua sete di potere.
A distanza di oltre settant’anni dal termine del secondo conflitto mondiale e dalla caduta del regime fascista l’Italia è ancora attraversata e connotata da una lunga serie di monumenti, opere architettoniche e tecniche, scritte e murales, che rimandano ad uno dei periodi più neri della nostra recente storia. I cui responsabili ben compresero le potenzialità insite in una comunicazione di massa, di impatto emotivo e visivo più che incentrata sui contenuti. Precursori senza dubbio. In grande stile, come ci ricordano obelischi, palazzi e scritte mastodontiche sulle abitazioni, spesso di confine, ad incitare i fieri concittadini a difendere il sacro suolo dall’invasore.
Fra tutti questi monumenti in questi giorni è ricomparso uno dei più giganteschi, azzardo forestale che doveva mostrare a perdita d’occhio quanto l’uomo di Predappio fosse nel cuore della sua gente. Una spruzzata di neve e il cielo limpido hanno riportato alla luce l’immensa scritta DUX, o meglio DVX secondo grafia latina tanto cara a quei tempi, composta grazie a ventimila abeti piantati su una parete del monte Giano. Siamo nel comune di Antrodoco, la provincia è già quella di Rieti ma la colossale opera è visibile per l’appunto anche dalla capitale, ovviamente in maniera migliore se da posizione elevata, e a Roma su questo punto c’è l’imbarazzo della scelta.
Gli alberi, come ricorda un articolo del quotidiano Il Messaggero, occupano un’area di otto ettari, e la scritta venne composta dagli allievi della Scuola delle Guardie forestali di Cittaducale nel 1939.
Riconosciuta come patrimonio artistico nazionale non aveva subito alcuna manutenzione per molto tempo, rischiando di scomparire, sommersa dalla vegetazione circostante che riprendeva i propri spazi. Dopo anni di polemiche fu la giunta regionale del presidente Piero Badaloni, Partito Democratico, a finanziare con 260 milioni di lire, nel 1998, i lavori per il recupero del monumento naturale.
Soldi che però non arrivavano, se è vero che si è dovuto attendere il 2004 e una giunta guidata da Francesco Storace, certo sensibile all’argomento, perché finalmente si potesse procedere al ripristino.
Solo lo scorso anno la presidente della Camera dei deputati Laura Boldrini aveva chiesto che venisse rimossa un’analoga scritta dall’enorme obelisco del Foro Italico, di fronte allo stadio Olimpico, scatenando reazioni bipartisan indignate.
Nessuno chiede di abbattere l’Eur o spianare Latina. Ma in molti altri casi, con un po’ di stucco e vernice, o magari piantando due alberi in più, si riuscirebbe a nascondere un poco queste espressioni eccentriche di un periodo che non merita incensazioni postume. Aiuterebbe forse pensare, al di là di riempirsi la bocca con tutele artistiche, ovunque calpestate e violentate in Italia, al senso di ridicolo che queste cattedrali nel deserto devono suscitare nei milioni di visitatori stranieri che ogni anno giungono da noi. E non solo in loro.
Ma a toccar certi tasti ancora ci si brucia evidentemente, in un paese che non è mai realmente capace di fare i conti con se stesso fino in fondo.