Misericordia vo cercando, la ricetta tradizionale di un papa rivoluzionario
13 gennaio 2016
Presentato il libro intervista di Jorge Mario Bergoglio
Al netto del grande battage mediatico, con tanto di presentazione di Roberto Benigni, il libro-intervista di papa Francesco intitolato Il nome di Dio è misericordia (una conversazione con Andrea Tornielli, edizioni Piemme) vale davvero la pena di essere letto. Per due motivi fondamentali: intanto perché il vescovo di Roma riunisce e sintetizza bene tutti i motivi, già detti a più riprese ma magari in tempi diversi e in forma frammentaria, che lo hanno spinto a convocare un Anno santo della misericordia. In secondo luogo, perché – a consuntivo della lettura – emerge più chiaramente la caratteristica “stupefacente” di questo Papa: il suo essere profondamente, radicalmente, tradizionalmente oserei dire, “cattolico”; e insieme il suo essere altrettanto profondamente e radicalmente innovatore, rivoluzionario quasi.
Riguardo al primo punto, l'urgenza storica del tema della misericordia, a tal punto da spingere Francesco a farne un snodo fondamentale del suo pontificato, c'è una affermazione che mi ha molto colpito: «La fragilità dei tempi in cui viviamo», dice a un certo punto Bergoglio, «è anche questa: credere che non esista possibilità di riscatto, una mano che ti rialza, un abbraccio che ti salva, ti perdona, ti risolleva...». Senza mai cadere nella facile tentazione della condanna degli -ismi, che finiva per contrapporre degli -ismi cattivi (consumismo, relativismo...) a un qualche -ismo presunto buono (cristianismo, invece che vero cristianesimo), il papa coglie una sensazione diffusa nella comune umanità contemporanea, il mood dominante che sta sopraffacendo il nostro presente: e cioè la convinzione intima, talvolta inconscia, che nulla possa cambiare, sia a livello personale/esistenziale, sia a livello collettivo/politico. Coglie, insomma, quel fritto misto emozionale che ci caratterizza un po' tutti e che rischia di ammorbare il pianeta: solitudine e ripiegamento, stanchezza e rassegnazione, autogiustificazione narcisistica e depressione.
Se questa è la diagnosi sapienziale di Francesco, la terapia che il papa propone non potrebbe essere più tradizionale dal punto di vista cattolico: la rivalutazione teologica, pastorale e liturgica del sacramento della confessione. E' chiaro che su questo punto ogni lettore protestante si irrigidisce, se proprio non si imbizzarisce. Ma sfatiamo un mito: anche tra i cattolici, sono sempre di meno le persone che si accostano volentieri al confessionale. Anche tra i fedeli di santa romana Chiesa si predilige, se proprio si deve, il lettino del terapeuta piuttosto che l'inginocchiatoio.
Dunque, Bergoglio, il papa etichettato come progressista, si fa sostenitore di un'antica ricetta tridentina, la confessione. Ma al contempo la rivoluziona, eliminandone le incrostazioni del passato e riscoprendone l'attualità esistenziale e politica al tempo stesso. Spiega che essa «ha un profondo significato, perché noi siamo esseri sociali. Se tu non sei capace di parlare dei tuoi sbagli con il fratello, sta' sicuro che non sei capace di parlarne neanche con Dio e così finisci per confessarti con lo specchio, davanti a te stesso». Il perdono, insiste il vescovo di Roma, «ha anche un risvolto sociale, perché anche l'umanità, i miei fratelli e le mie sorelle, la società, vengono ferite dal mio peccato». E come dargli torto, se si pensa ai tanti “peccati” sociali di cui sono vittime le nostre collettività: violenza, corruzione, soprusi sui più deboli, ingiustizie di ogni genere e grado.
Il ritratto della “Chiesa di Francesco” che emerge dal libro, insomma, è quella di un popolo dal cuore grande, una comunità cristiana che condanna il peccato, ma abbraccia il peccatore nella convinzione che solo la misericordia – quel sentimento di viscerale empatia nei confronti delle fragilità del nostro prossimo - ha una reale potenza trasformatrice sul mondo. Una Chiesa di pastori, non di dottori della legge. Una Chiesa che, come fa il papa al termine del volume, non dimentica le parole di San Giovanni della Croce: “Alla sera della vita, saremo giudicati sull'amore”.