Vieni in nostro aiuto, o Dio
02 dicembre 2015
Un giorno una parola – commento a II Cronache 14, 10
Soccorrici, Signore nostro Dio! Poiché su di te noi ci appoggiamo
(II Cronache 14, 10)
Il Signore mi libererà da ogni azione malvagia e mi salverà nel suo regno celeste
(II Timoteo 4, 18)
I nostri padri latini esprimevano con una frase la loro concezione dell’uomo: «faber est suae quisque fortunae» (ciascuno è autore della sua sorte), espressione che ogni studente di latino al primo anno trova da tradurre nel libro di esercizi. Ciascuno è protagonista della sua vicenda, il solo responsabile di quanto gli capita nella vita di volta in volta. Ciascuno ha in sé la capacità, la forza e la possibilità di provvedere a se stesso e al suo benessere. Si tratta di una visione antropologica che ha percorso l’intera storia dell’umanità e che ritroviamo nella cultura di tutti i paesi.
Ma, come in tutte le situazioni, c’è un’eccezione: le persone che fondano la loro vicenda umana sulla Bibbia non pensano e non si muovono sulla base di questa impostazione antropologica ottimistica e autoreferenziale. L’autore biblico esprime questo suo pensiero, in forma di supplica, di preghiera a Dio, in un momento di sconforto e di difficoltà. Chiede il soccorso e l’aiuto di Dio in quanto si trova in una situazione difficile. Sa che le sue capacità e le sue forze non sono sufficienti per modificare la situazione e cavarsela da solo.
Ecco allora la sua richiesta di soccorso a Dio di cui abbiamo anche la motivazione: «poiché su di te noi ci appoggiamo». In questa semplice espressione viene espressa la fede del credente che informa l’intera sua esistenza. Naturalmente il credente non si affida, o appoggia a Dio, solo quando si trova nelle difficoltà e in situazioni di pericolo, ma nell’intero corso della sua vita. Alla fedeltà di Dio segue l’affidarsi a Dio di ogni credente.