I morti di serie B
16 novembre 2015
Aereo russo, mercato libanese, Parigi, tre attentati concatenati, ma i morti fanno notizia solo se sono vicini a noi
Le bombe nell’affollato quartiere di Beirut, roccaforte di Hezbollah, sono state il secondo segnale della nuova offensiva in corso, volta a punire chi in prima persona sta bombardando il Medio Oriente, e lo sta facendo non distinguendo quasi mai fra obiettivi civili e obiettivi strategici, tanto tutto fa brodo.
Il primo fu l’aereo russo che oramai appare certo essere stato abbattuto (224 morti, molti più che a Parigi se dobbiamo scendere al livello di una contabilità da macelleria sudamericana), poi è stata la volta della capitale francese. In mezzo Beirut. Russia. Francia, Libano, le tre nazioni coalizzate in questi mesi nella presunta battagli anti Is.
41 i morti nella capitale dello stato chiave nello scacchiere mediterraneo: morti diventati di serie B per uno di quei cortocircuiti mediatici di cui l’occidente è maestro, impegnato a distorcere ogni azione da dietro il proprio personale grandangolo. Ma quelle bombe sono parte di uno stesso schema, che ha radici lontane e padri seduti comodamente a Washington come a Londra, a Parigi come a Mosca e a Roma. 25 anni di guerra civile libanese non avevano mai espresso un attentato di simili proporzioni.
Il Segretario generale del Consiglio ecumenico delle chiese (Cec) Olav Fykse Tveit ha espresso la propria costernazione: «la popolazione libanese si è battuta per un’ intera generazione al fine di costruire ina stabile e libera democrazia. Stragi simili non danneggiano solo le persone, ma gli stessi processi sociali figli di faticosi percorsi di dialogo, reciproca comprensione, voglia di pace». Libano quindi espressione di un possibile modello di convivenza fra culture, religioni, ferito ora mentre faticosamente tenta di districarsi fra opposte tensioni. Non si registrano moltissime altre prese di posizione. Niente a che vedere con la cascata di tweet, post, frasi e frasette che ogni attore o presunto tale della scena più o meno pubblica si è sentito in dovere di esternare dopo gli attacchi parigini.
Ora in quattro e quattro otto Francia con il supporto degli Stati Uniti sganciano venti bombe che chirurgicamente distruggono postazioni chiave dei terroristi: questi siti non si conoscevano prima, o prima andavano bene purché gli estremisti restassero a combinare guai nei loro confini? E una volta che così non è più stato si rompe loro il gioco? Domande retoriche, perché appare plasticamente ovvio che dell’Is oramai pressoché tutto si conosce.
Dubbi che aleggiano e faticano a dileguarsi, come une mefitica cappa che impedisce a noi occidentali di guardare il cielo. E con esso di vivere con speranza.
Un’Europa stanca e spaventata tratta con il sultano Erdogan, lo stesso che bombarda i curdi che tentano di contrastare l’Is, e propone un’uscita morbida in Siria ad Assad, feroce dittatore che finanzia i terroristi, al pari dell’Arabia Saudita, il cui ruolo più che ambiguo è taciuto perché troppo importanti sono le alleanze con i signori del petrolio. Nulla di cui stupirsi quindi se generazioni cresciute soltanto sotto il terrore delle bombe sganciate da potenze straniere che non sono state in grado di far nulla di più costruttivo, possano reagire anche in questa maniera disperata e distruttiva, vendicativa e cieca.
Non ci sono morti di serie B. Non devono esistere morti di sere B. Ma nei talk show allestiti in fretta e furia da tutte le televisioni si ragiona sul qui e sull’ ora, fingendo di non capire, di non vedere.
I soli morti che fanno notizia sono quelli a noi più prossimi, gli altri li guardiamo con cinico distacco clinico. Diventando così tutti complici di questo sistema strabico. Ipocriti.