Nell’attesa che Gesù ritorni
13 novembre 2015
Un giorno una parola – commento a Matteo 25, 31-32
Il tempo è giunto per raccogliere tutte le nazioni e tutte le lingue; esse verranno e vedranno la mia gloria
(Isaia 66, 18)
Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria con tutti gli angeli, prenderà posto sul suo trono glorioso. E tutte le genti saranno riunite davanti a lui
(Matteo 25, 31-32)
I brani biblici originali non hanno titoli, che sono inseriti dai traduttori e/o dagli editori.
Il lungo e armonico brano che comincia coi versetti che ci sono proposti oggi dal Lezionario è intitolato nella Diodati: «Vita eterna e pene eterne»; nella Bibbia della Cei «Il giudizio finale»; nella Tilc «Il giorno del giudizio»… e quando prendo in mano la Riveduta (anche la Nuova Riveduta), mi chiedo sempre il perché dello strampalato titolo «Giudizio contro le nazioni», quasi a sottolineare che al giudizio sono sottoposti «gli altri», mentre ne è esonerata la chiesa e non vi sono sottoposti i credenti… Ci vuole una bella dose di sicumera.
Lasciamo da parte questa divagazione, e veniamo al testo.
Prima di tutto, esso ci apre una prospettiva che dovrebbe rallegrarci tutti: il Signore Gesù non rimarrà (fisicamente) assente per sempre. Verrà. E verrà nella gloria.
La sua prima venuta ha conosciuto un’opposizione tenace e subdola, e si è conclusa con la morte infamante sulla croce. Al suo ritorno, sarà su un trono del quale nessuno potrà privarlo; e lui, il giudicato del Sinedrio e il condannato del Golgota, sarà il giudice dei popoli e delle nazioni… e della chiesa. Della chiesa che vive troppo spesso come se Egli non avesse insegnato nulla, come se fosse ancora nella tomba di Giuseppe di Arimatea, luogo di pii pellegrinaggi per persone facili alle emozioni e inclini all’oblio…
E su tutti e tutte (credenti compresi) Gesù pronuncerà un giudizio inappellabile basato non tanto sulle cose che avranno detto ma su quelle che avranno fatto… o non fatto: ebbi fame e mi deste (o: non mi deste) da mangiare… fui forestiero e mi accoglieste (o: non mi accoglieste).
Nell’attesa che Egli venga, noi credenti siamo chiamati a svolgere il nostro mestiere di testimoni: di annunciatori della sua Parola. Solo se l’accompagneremo con gesti significativi e coerenti, potremo dire la Parola sua, e non immiserirla nelle nostre chiacchiere. Altro che «giudizio contro le nazioni»!