Le domande da fare
13 novembre 2015
La drammatica aggressione di Milano ci obbliga a ragionare sulla nostra capacità di cogliere i segnali di una deriva antisemita
L’altra sera stavo conducendo uno studio sul testo di Karl Barth del 1933 «Esistenza teologica oggi!» presso i locali della chiesa valdese di Palermo. Insieme ai presenti discutevamo sulla situazione tedesca ed europea di quegli anni, di come è facile oggi riconoscere Hitler e il nazismo quali manifestazioni del Male. Guardando a quel periodo non ci si può non stupire di come chiese e società si stessero annodando un cappio al collo, in maniera inconsapevole e inesorabile e di come pochi, pochissimi, si fossero accorti che qualcosa non andava e non andava da tempo.
In un contesto dove nazionalismo, revanscismo, antisemitismo e una diffusa infelicità collettiva erano ormai radicati, il nazismo ha avuto gioco facile, fin troppo facile. I cristiani si macchiarono del peccato di infedeltà.
La domanda che ci si pone affrontando quel periodo, leggendo il testo di Barth è: io che cosa avrei fatto all'epoca? Sarei riuscito a compiere le scelte giuste rispetto a vicende che ora ci sono chiare ed evidenti? Se succedesse di nuovo, riuscirei a capirlo o — domanda più audace — le chiese riuscirebbero a capirlo?
Poi torno a casa e leggo dell'accoltellamento di un ebreo a Milano, uscito da un ristorante kosher. Un attacco vile e brutale che suscita orrore, preoccupazione e paura.
Tutto quello che hai fatto in quella giornata scompare davanti a questa notizia. Un attacco antisemita a casa nostra.
Tutto scompare, eccetto la domanda, la domanda spaventosa che resta: saremo in grado oggi di riconoscere il ritorno del male antico e radicato dell'antisemitismo? Oppure continueremo come niente fosse, considerando tutto come un inesorabile destino su cui non possiamo far nulla?
In altre parole, cosa ci chiediamo oggi: cosa possiamo farci se un ebreo viene accoltellato a Milano oppure cosa avremmo potuto fare per evitarlo?