Il Tav sul banco degli imputati
03 novembre 2015
Dal 5 all’8 novembre il Tribunale Permanente dei Popoli chiamato a giudicare eventuali violazioni dei diritti umani in valle di Susa. Intervista a Livio Pepino, magistrato, fra i promotori dell’istanza
Ci siamo.
La linea ferroviaria ad alta velocità ( o alta capacità) Torino – Lione va a processo. E per una volta sarà proprio lei a sedere sul banco degli imputati, e non, come fino ad ora accaduto, chi a questa opera si oppone.
Si terrà infatti a Torino dal 5 all’8 novembre la sessione conclusiva del Tribunale Permanente dei Popoli (Tpp) relativa alla valutazione delle grandi opere, chiamato a pronunciarsi sull’eventuale non rispetto dei diritti fondamentali nei confronti dei cittadini e delle comunità locali. E sarà la prima volta per l’Italia.
Il Tpp è un tribunale di opinione internazionale che nasce nel 1979 come prosecuzione della prima esperienza simile, il tribunale Russell, che si occupò innanzitutto dei crimini ai danni delle popolazioni durante la guerra del Vietnam e in seguito delle tragedie legate alle dittature in America latina.
E’ un organismo composto da giuristi di fama mondiale, strumento di analisi e valutazione indipendente, chiamato a fornire pareri, che non hanno vincolo giuridico, ma morale, in relazione in particolare alle violazioni dei diritti umani subiti dalle popolazioni. Popolazioni che spesso, spessissimo, non hanno voce in capitolo, subiscono processi decisionali altrui e vengono esautorati da ogni possibile ragionamento, relegati al più al ruolo di fastidiosi granelli di sabbia che intralciano macro meccanismi economici. Le indagini del Tpp si concentrano sui crimini contro la pace e contro l’umanità e sui casi di politiche che generano disuguaglianza, povertà, esclusione. Tutte le sentenze vengono inviate alle principali istanze internazionali e molte sono state discusse dalla Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite.
Sono oltre 40 le sessioni realizzate fino ad oggi, relative ad alcuni dei più controversi casi internazionali di violazioni dei diritti umani: dal Sud America all’Africa, da Timor est all’Afghanistan, fino a Chernobyl, l’Armenia, l’ex Jugoslavia e altri casi simili.
Per la prima volta quindi sarà chiamato a pronunciarsi su un caso italiano, una novità importante.
Il merito di questo cambiamento di prospettiva sta nella tenacia degli abitanti della valle di Susa, che da oltre 25 anni si battono contro un’opera ritenuta sproporzionata, inutile, terribilmente dannosa, e sta nella passione civile di un gruppo di persone, giudici, giornalisti, professori, uomini di chiesa, amministratori, che nel 2013 hanno costituito il “controsservatorio” sulla val di Susa allo scopo di provare a bilanciare l’enorme disinformazione in atto sui principali mezzi di comunicazione di massa, piegati ad interessi economici che ne hanno sterilizzato la funzione investigatrice che un giornale sempre dovrebbe imporsi.
Nell’aprile del 2014 il Controsservatorio si rivolge ufficialmente al Tribunale Permanente dei Popoli, chiedendo che il caso val Susa venga da esso valutato; l’appello viene giudicato legittimo nell’autunno scorso, ed ora, dopo una sessione introduttiva nella primavera di quest’anno, si giunge finalmente al dibattimento finale.
Livio Pepino, magistrato, già membro del Consiglio Superiore della Magistratura e già co-direttore della rivista Narcomafie edita dal gruppo Abele, è presidente del controsservatorio val Susa. A lui chiediamo quale sia la soddisfazione personale e del popolo valsusino per esser finalmente giunti a questo processo:
«Si tratta di una tappa molto importante. L’aver ricevuto il riconoscimento che le istanze avanzate meritino di venire affrontate dal Tribunale Permanente è già un ottimo traguardo, utile a penetrare questa spessa cappa di silenzio e disinformazione che circonda la questione TAV in Italia, in cui ogni voce di dissenso è sempre stata giudicata e presentata come eversiva, reazionaria, antidemocratica. Il nostro scopo è dimostrare che queste accuse vanno ribaltate. Quindi ora ci attendiamo molto anche dalla sentenza, perché a nostro parere la gestione politica di queste grandi opere itera in ambito locale quella che è stata la logica coloniale fino alla seconda guerra mondiale: massimo sfruttamento dei territori e delle risorse senza alcuna attenzione a chi quei territori li abita. Cittadini che si vedono espropriare beni, terreni e materie prime in nome di presunti interessi superiori. Il Tribunale ha lo scopo di capire se e come vi siano state violazioni dei diritti delle persone che queste terre le abitano».
Cosa fare in caso di sentenza a voi favorevole?
«Intanto con l’immensa mole di materiale raccolto in questi anni grazie al lavoro di tecnici, professori, movimenti, singoli cittadini, siamo in grado di dimostrare come un diverso modello di sviluppo sia possibile. Se poi il Tpp darà ragione alle nostre istanze si tratterà di un riconoscimento importante, un’ennesima tappa che non conclude un percorso, ma che anzi ci spingerà a proseguire con maggiore autorevolezza nelle nostre azioni di informazione e pressione perché finalmente si superino le ideologie e si ragioni finalmente sull’assurdità di un’opera nata già vecchia oltre 20 anni fa. E’ vero che il parere non sarà vincolante, ma di contro credo che l’autorevolezza di simili organi andrà sempre più ad aumentare nel tempo, dal momento che i tribunali nazionali hanno oramai competenze limitate, e quelli internazionali spesso sono privati di dispositivi di esecuzione delle sentenze. Ecco che quindi tribunali di opinione cresceranno in autorevolezza: si pensi al caso Volkswagen solo per prendere l’ultimo in ordine di tempo: è stato svelato grazie alle indagini di un osservatorio ambientale internazionale, non un organo giuridico quindi, ma di opinione, che però grazie alle sue scoperte, ha portato alla denuncia dei tecnici coinvolti».
E’ la prima volta che il Tribunale Permanente dei Popoli viene chiamato a valutare un caso italiano. Il Tav come Chernobyl e come la guerra in Jugoslavia quindi?
«E’ questa la critica che ci è stata mossa: paragonare la Torino-Lione a tragedie come quella nucleare o bellica. Rispondiamo che se si fossero viste e quindi fermate per tempo certe tragedie non sarebbero accadute. Qui come altrove vengono ripetute le solite logiche pervasive, che esautorano intere fette di popolazione dai poteri decisionali. Ecco, se qualcuno avverte il problema, meglio agire per tempo, prima che sia troppo tardi. Il fatto poi che sia la prima volta che il Tpp valuterà un caso italiano indica anche quanto questo caso venga considerato emblematico e rilevante dai giudici».
La giuria sarà composta da nove persone: Umberto Allegretti, giurista, docente di Diritto costituzionale all’università di Firenze, Perfecto Andrés Ibanez, magistrato del tribunale supremo spagnolo, Mireille Fanon Mendès, componente del gruppo di lavoro del Consiglio per i diritti umani dell’Onu, Sara Larrain, ecologista e politica cilena, Dora Lucy Arias, avvocata colombiana, Luis Moita, professore di Sociologia delle relazioni internazionali all’università di Lisbona, Antoni Pigrau Solé, professore di Diritto internazionale all’università spagnola di Tarragona, Roberto Schiattarella, professore di Politica economica all’università di Camerino e Philippe Texier, magistrato onorario della Corte suprema di cassazione francese.
Le sessioni dibattimentali si svolgeranno presso la Fabbrica delle E (gruppo Abele). Domenica 8 novembre alle ore 16 al teatro Magnetto di Almese in valle di Susa verrà letto il dispositivo della sentenza. E sapremo così se gli oppositori al Tav avranno in mano un forte strumento in più per urlare il proprio no.