Un gay a La Mecca
09 ottobre 2015
Il regista arabo Parvez Sharma, omosessuale dichiarato, ha realizzato un documentario sul pellegrinaggio dei fedeli musulmani nella città santa, fra spiritualità e consumismo
Nato in India ma residente a New York, Parvez Sharma, 41 anni, realizza da tempo documentari sulla vita dei gay e delle lesbiche musulmane.
Dopo l’uscita nel 2007 del suo film “Una jihad per amore” che racconta come le società di dodici nazioni differenti vivono gli amori omosessuali è stato dichiarato infedele e persona indesiderata dal regime che guida L’Arabia Saudita.
Ecco perché al momento di intraprendere il suo ultimo lavoro, che esce nella sale statunitensi in questi giorni, Sharma ha fatto addirittura testamento. Si, perché ha scelto di filmare il grande pellegrinaggio annuale dei fedeli in direzione di La Mecca, la città santa dell’Islam, che sorge proprio in Arabia Saudita. In questo modo ha sfidato le autorità in due modi: da un lato perché vige un divieto formale di utilizzo di qualsiasi apparecchio che possa catturare immagini del grande raduno, l’Hajj, che un fedele islamico deve compiere almeno una volta nella vita; dall’altro perché il regista stesso in quanto dichiaratamente gay ha rischiato, se scoperto, di venire condannato a morte.
Ma nel documentario emerge soprattutto la grande fede di Sharma, che il regista non vive in contraddizione con i precetti della propria religione. Lo sforzo non è quello di farsi accettare dall’Islam, ma al contrario trovare gli strumenti perché il suo essere gay islamico praticante si possa conciliare con la propria vita religiosa.
Si tratta di un vero e proprio tuffo nella profonda spiritualità ma anche nell’immenso caos che questo raduno annuale reca con sé, come ci ricordano le cronache dei morti per la calca che si ripetono sempre uguali: fra preghiere e canti non manca una profonda critica all’esasperazione in chiave commerciale dell’evento, e un monito rivolto al mondo perché apra gli occhi sul sistema di potere saudita, finanziatore ed esaltatore di terroristi che uccidono in nome di un Dio che li rinnegherebbe senza se e senza ma.
Il film che si apre con le immagini del matrimonio fra il regista e il suo compagno a Manhattan, si conclude con una riconciliazione con se stesso e con la propria fede, resa possibile proprio dall’intensità e dalla profonda spiritualità che permea il pellegrinaggio.
Ai media americani Sharma a dichiarato di augurarsi che il suo lavoro possa aiutare il dialogo in seno allo stesso mondo musulmano stimolando la larga maggioranza che certo non aderisce a ideologie di violenza o esclusione, come i media troppo spesso rappresentano, demonizzando in questo modo a priori un intero mondo minando in questo modo ogni possibilità di reciproca comprensione.
E’ in corso una raccolta fondi con un sito internet dedicato (link a http://asinnerinmecca.com/donate/) per consentire la più ampia distribuzione possibile del documentario, con in mente soprattutto i Paesi islamici. Ma scommettiamo che in Italia non lo vedremo mai?