Tornare a Dio
18 settembre 2015
Un giorno una parola – commento a Geremia 14, 21
Per amor del tuo nome, non disprezzare, non disonorare il trono della tua gloria; ricòrdati del tuo patto con noi; non annullarlo!
(Geremia 14, 21)
Or il Dio di ogni grazia, che vi ha chiamati alla sua gloria eterna in Cristo, dopo che avrete sofferto per breve tempo, vi perfezionerà egli stesso, vi renderà fermi, vi fortificherà stabilmente
(I Pietro 5, 10)
Geremia vive il suo rapporto con Dio in modo bivalente e con un senso di precarietà. Potremmo anche dire che lo vive con timore e tremore, con fiducia e paura. Da un canto gli è chiaro che Dio si è legato al popolo con un patto, come se Dio avesse preso in sposa Israele, per amarlo e proteggerlo. Questo vincolo, che Dio ha voluto contrarre per sua libera iniziativa, è garanzia di pace e sicurezza per ogni Israelita. Allo stesso tempo, però, Geremia ha coscienza del fatto che il popolo non si è dimostrato fedele a Dio, lo ha tradito in vario modo e in più occasioni. Ora Geremia perde la sua sicurezza e teme che Dio voglia rompere il patto con Israele e voglia divorziare dalla sua sposa infedele. Il profeta non accampa scuse, non si arrampica sugli specchi per giustificare il proprio peccato e quello del popolo. A Geremia non resta che fare appello all’amore di Dio, alla sua stessa dignità, perché egli rimanga fedele al suo patto. In un contesto di guerre e di invasioni nemiche, avere Dio che non abbandoni il popolo al suo destino, ma rimanga fedele al suo patto per difendere la sua sposa è una questione di vita o di morte, di sopravvivenza nella libertà o di deportazione in terra straniera. Ecco, dunque, l’appello a Dio a non disonorare il suo trono glorioso, specialmente agli occhi dei nemici.
Non è chiaro se oggi si percepisca la precarietà di una condizione che si fonda sì sul patto, il nuovo patto di Dio in Cristo, ma che viene messa in questione da tradimenti e infedeltà. Non c'è dubbio che la fedeltà di Dio al suo patto, antico e nuovo, vada data per scontata e non sarà la nostra infedeltà a sconfiggere Dio. Ma fino a che punto avvertiamo la nostra responsabilità nel mantenere in piedi quel patto? Fino a che punto ci sentiamo soggetti leali di un patto d'amore e di fedeltà che ci lega a Dio e che ci fa stare davanti a lui non come penitenti impenitenti, ma come partner gioiosi e volenterosi?
Oggi, come per Geremia, si tratta di non accampare scuse per la nostra infedeltà. Si tratta, invece, di tornare a Dio per rinsaldare il vincolo di fedeltà che ci lega come partner. Così, in un clima di ravvedimento, anche noi rinnoveremo il patto di fedeltà che per parte nostra abbiamo siglato rispondendo all'iniziativa di Dio con la nostra conversione, la nostra professione di fede e il battesimo, là dove ha avuto luogo.