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Tommaso Guiot, sarto sotto processo

Repressione antivaldese sul finire del Quattrocento

Come archivista mi fa particolarmente piacere sottolineare che Marina Benedetti è una dei rari professori universitari che continuano a fare ricerca in archivio: lo si nota fin dalla copertina del suo libro*, che riproduce un particolare di una delle carte topografiche conservate presso l’Archivio di Stato di Torino per richiamare il territorio teatro dell’azione. Sfogliate poi le prime pagine, ci si imbatte nella ricostruzione delle vicende dei manoscritti da cui Marina Benedetti non può non partire per affermare che letture superficiali delle fonti possono produrre «schegge informative» (p. 4), riduttive della ricchezza di aspetti, temi, problemi collegati con l’approfondimento della fonte. Di conseguenza e coerentemente, il libro offre, come una scatola cinese, molti piani di lettura: circostanze della trasmissione e conservazione degli atti del processo, caso particolare di Tommaso Guiot, repressione valdese di fine Quattrocento. Aspetti fra loro già strettamente connessi esplodono in una serie di analisi, rivelatrici della profonda conoscenza della materia da parte dell’autrice e, forse, anticipatrici di nuove indagini da parte sua.

La ricomposizione ideale degli atti dell’inchiesta, nel rispetto dell’unitarietà della fonte, è un’ampia finestra aperta sulla colta erudizione attiva nel cuore dell’Europa del secolo XVII, a cui si deve la formazione dei fascicoli dei processi a carico dei valdesi. L’autrice ci conduce a scoprirla in un viaggio tra archivi e biblioteche, dalla Valle di Susa, a Parigi, Cambridge, Dublino, Grenoble, Torino, senza tralasciare di notare le finalità politiche e teologiche di cui i fascicoli sono il prodotto. La cronaca giudiziaria del sarto di Pragelato si traduce così da un lato in evidenza della ricchezza di quelle fonti processuali e dall’altro in uno sguardo sul contesto generale dello scorcio del secolo XV in cui si colloca la storia personale di Tommaso Guiot.

Ad ambiti familiari e collettivi, al mondo di relazioni sociali forti e problematiche, in cui si intrecciano testimonianze di fede e vita quotidiana, riportano gli atti dei vari interrogatori, trascritti fedelmente per la gioia dei linguisti (a essi sembra rivolgersi indirettamente Marina Benedetti quando cita – p. 122 sgg. – il verbo pascayrare). Sottoposte dall’autrice a minuziose interpretazioni, le testimonianze rese sono offerte alla riflessione del lettore come un tassello di un quadro più grande, che a sua volta si allarga in due dimensioni: le crociate, in particolare la spietata repressione del 1488, e i loro promotori, quei frati Minori così poco studiati nel rapporto «tra predicazione, inquisizione e crociata», lamenta l’autrice (p. 4).

Al contrario, mi sia permesso aggiungere che un’eco della vastità dell’azione antivaldese, letta in chiave encomiastica, ha un singolare riscontro a poco meno di un secolo in un’opera del 1572, le Imagines ducum Sabaudiae dello storiografo di corte Filiberto Pingone: nella tavola celebrativa delle imprese di Carlo I di Savoia, l’attacco repressivo è evocato nei rapidi tratti di un minuscolo disegno che raffigura una lunga fila di prigionieri, uno sul punto di essere decapitato, contro i quali sono alzate la croce e la spada (il manoscritto, conservato nell’Archivio di Stato di Torino, è stato pubblicato nel 2009).

In definitiva, le dense pagine cariche di significato de La valle dei Valdesi sono appassionate e coinvolgenti e, benché l’asciuttezza dei titoli cerchi invano di nasconderlo, l’asettico linguaggio notarile diventa racconto quando l’autrice dà voce diretta ai protagonisti, la cui dolente condizione ella descrive con delicata immediatezza di immagini. È un libro in cui ciascuno può trovare la sua linea di lettura e avremmo piacere di sapere da Marina Benedetti qual è quella che lei predilige. Ciò che non può dirci è che c’è ancora un’altra finestra che il lettore percepisce. Quando nella pagina finale, come in una sequenza cinematografica, leggiamo del sarto che infine «può tornare a Pragelato» e «non gli resta che cucire la pena sulle proprie vesti», ciò che si vede in controluce, al di là di tutto il resto, è la sensibilità dell’autrice che se prima si è manifestata nel rigore dell’analisi delle fonti, qui traspare nell’umana compassione – nel senso etimologico del termine simpatia – con cui accompagna Tommaso attraverso la sua mortificata esistenza.

* M. Benedetti, La valle dei Valdesi. I processi contro Tommaso Guiot, sarto di Pragelato (Oulx, 1495), Spoleto 2013 (Fonti e documenti dell’inquisizione (secoli XIII-XVI), Collana del Dipartimento di Studi storici dell’Università degli Studi di Milano diretta da Marina Benedetti e Grado Giovanni Merlo, 2).

Foto via Studivaldesi.org