Scrittrici nella guerra
23 luglio 2015
La cronaca dei fatti e la capacità di analisi introspettiva
Quel capolavoro che è il Diario partigiano1 di Ada Gobetti – ora tradotto, nella ricorrenza del 70° della Liberazione anche negli Stati Uniti – si apre, il 10 settembre 1943, con l’inaspettata occupazione nazista di Torino, mentre lei, il figlio Paolo, il secondo marito Ettore Marchesini e Lisetta Giua stanno distribuendo manifestini con le parole «resistenza», «libertà», «giustizia». Arriva un tale: «Se ne vada, che cosa sta a fare? Se ne vada subito». Il giorno dopo, arrivando alla stazione, presidiata dai nazisti, e risalendo la Valle di Susa, Ada incontra i resti della IV Armata «che, dopo aver tentato di resistere e combattuto s’eran trovati senza capi, senza direttive (…) s’eran trovati soli; e alla fiammata d’entusiasmo eroico tanto più grevi eran successe la delusione e l’amarezza».
Questa distruzione, questo marasma e questa angoscia, questa tumultuosa necessità di decidere, di dover operare, sono l’inizio di quel «resistere» durato mesi e mesi, in condizioni impossibili, ma – e qui s’illumina il temperamento artistico di Ada, che era una bravissima pianista e cantante lirica – insperatamente aperto a squarci di bellezza e di speranza. È la natura, soprattutto, che parla di pace al suo cuore straziato da tante dolorose prove: «Giungere a Meana fu come ritrovare un dimenticato paradiso. Qui la dissoluzione non era ancora giunta. Tra i castagni dorati dal tramonto, rientravano i carri, carichi di fieno; da ogni casa si levava nel cielo il fumo del focolare. S’udivan giochi di bimbi, gridar d’animali. Come se tutto il mondo fosse in pace».
La dissoluzione la vive anche la scrittrice Lalla Romano, anche se, come nota Ersilia Alessandrone Perona «sulla partecipazione alla Resistenza, la divaricazione fra cronaca e narrazione letteraria è molto forte»2. Il tragico sfascio del nostro esercito l’8 settembre è rievocato nel romanzo Tetto murato: «Poco dopo vedemmo un altro soldato, seduto sul ciglio della strada, ripiegato su se stesso. Alzò verso di noi un viso dagli occhi grandi e tristi di bambino (…) rispose che non ne poteva più e che del resto non era possibile proseguire così, con la divisa. Aveva il tono obbiettivo di chi è disperato, ma anche umile, ingenuo (…) Nell’abbandono aveva ancora qualcosa del suo candore infantile». Tutta la tragedia è infatti letterariamente concentrata in questo indimenticabile personaggio, nella sua stanchezza, nella sua ingenua e umile disperazione, in quegli «occhi grandi e tristi di bambino». Perché, annota Ersilia Alessandrone Perona, «La capacità di Lalla Romano di trasformare l’esperienza in opera d’arte (…) costituisce un punto centrale della sua poetica: “Io non temo il ‘vissuto’ nel romanzo: la vita, quando ci viene rivelata dalla scrittura, non ci ferisce più.(…) La crudeltà dell’arte è innocente e riscatta l’indecenza della vita”».
Così anche la testimonianza dell’eccidio e dell’incendio di Boves non ha niente di cronachistico, ma si trasfigura subito nella capacità evocativa dell’arte: «Io avevo visto soltanto le rovine di Torino sotto le bombe, ma lo strazio delle piccole e povere case di Boves sotto il dolce sole di settembre, era più tragico e più triste, come la violenza sul corpo di un bambino». E subito la narrazione s’innalza in crudeli, indimenticabili vertici di poesia: Lalla Romano fu anche pittrice – allieva di Casorati con Maria Marchesini, amica di Piero e Ada Gobetti. A lei, nel 2013, oltre che a Demonte, nel Cuneese, luogo natio, è stata dedicata una mostra di documenti, dipinti, letture e conferenze presso l’Istituto per la storia della Resistenza di Torino.
Anche Virginia Woolf vive durante la guerra – lei, pacifista intransigente – la distruzione del suo mondo, e lo annota in pagine angosciate, che segnano anche il suo congedo dalla speranza e dalla vita: qualche settimana dopo, il suicidio con una pietra in tasca, nel fiume Ouse, 31 marzo 1941: «Lunedì eravamo a Londra. (…) Vagato tra le desolate rovine delle mie vecchie piazze: squarciate, smantellate; gli antichi mattoni rossi tutta polvere bianca (…). Rifiuti grigi e finestre rotte; curiosi; tutta quella perfetta compiutezza strappata via, demolita». E ancora, nelle ultime pagine: «Gavin dice che la battaglia più grossa è per venire, ed ogni uomo, donna, cane, gatto, parassita perfino, deve cinger le armi, la fede, e così via. (…) Sì, pensavo: viviamo senza futuro. Questa è la cosa strana: coi nasi schiacciati contro una porta chiusa»3.
Lalla Romano e Ada Gobetti ce la fanno a sopravvivere a tanto dolore, guardando al futuro: è di Lalla Romano lo storico volantino di fine guerra del Movimento femminile Giustizia e Libertà Alle donne di Cuneo, per unire nella ricostruzione della Patria «le nostre forze di intelletto, di cuore, di volontà», e il taglio è decisamente da scrittrice, così fatto proprio da firmarne il dattiloscritto, ritrovato nelle sue carte: «I nostri cuori, come quelli di ogni donna italiana di buona volontà, battevano uniti nella stessa angoscia, nella stessa attesa, nella stessa speranza. I nostri sguardi si incontravano talvolta e si intendevano anche se non conoscevamo i nostri nomi».
Ada Gobetti a sua volta, che pure – a differenza di Silvia Pons — non riesce a scrivere, oppressa dai ricordi terribili, un messaggio alle «Donne piemontesi», alla fine, dopo una notte insonne conclude soltanto: «Tutte le donne oggi hanno un lutto nel cuore. Fate che questo lutto non sia stato vano». E scrive le ultime pagine del suo Diario partigiano con la consapevolezza, nella Torino liberata, che incominciava un’altra battaglia: «più lunga, più difficile, più estenuante, anche se meno cruenta (…) . Si trattava di non lasciar che si spegnesse nell’aria morta di una normalità solo apparentemente riconquistata, quella piccola fiamma d’umanità solidale e fraterna che per venti mesi ci aveva sostenuti e guidati».
1. Ada Gobetti, Diario partigiano, Einaudi, 1996.
2. Aa.Vv., Lalla Romano e la Resistenza a Demonte e in Valle Stura, a cura di Antonio Ria, da «Il presente e la storia», n. 84.
3. Virginia Woolf, Diario di una scrittrice, Oscar Saggi Mondadori, 1980, p. 469.