Una legge che dà speranza
10 luglio 2015
Approvata alla Camera una legge sull'autismo. Barichello: «la loro integrazione si avvicina sempre di più ad una meta»
La Camera ha approvato una legge che dovrà facilitare l’assistenza alle persone con disturbi dello spettro autistico. La legge prevede l’aggiornamento triennale delle Linee di indirizzo per prevenzione e cura, per bambini, adolescenti e adulti, l’inserimento della patologia nei Livelli essenziali di assistenza (Lea), che permettono di usufruire del servizio sanitario gratuitamente o dietro pagamento di un ticket, e la promozione della ricerca in campo biologico, genetico, riabilitativo e sociale. Dovrà tornare al Senato per l'approvazione definitiva, ma si tratta di un passo in avanti: Roberto Barichello, dell'associazione Genitori soggetti Autistici Progetto educativo Orizzonte ha commentato la notizia con noi.
Cosa pensate di questa legge?
«Questo è un momento di soddisfazione, è innegabile. Finalmente c’è un passo in avanti, sebbene non definitivo, perché non siamo ancora alla fine del percorso. La ricerca che questa proposta di legge vuole potenziare è sicuramente l’attesa più grande: pensare di avere delle risposte più certe rispetto a oggi su queste patologie. Le diagnosi sono ancora basate su semplici osservazioni esteriori di alcuni atteggiamenti o posture dei soggetti, ma non se ne sa assolutamente la causa. La diversità con cui si esprimono questi disturbi nei diversi soggetti richiedono una conoscenza ancora più approfondita: questa legge è una speranza che dà un po’ più di luce. Al di la dello stimolo alla ricerca e a un monitoraggio costante sulle evoluzioni, la prospettiva dell’inserimento nei Lea dei protocolli di diagnosi come metodica obbligatoria e l’applicazione delle terapie comportamentali è sicuramente un sospiro di sollievo. La prima versione della norma che prevedeva una dimensione economica era preferibile, questa dà comunque un sostegno. La preoccupazione si sposta da una certezza di riconoscimento a quante risorse saranno messe a disposizione: le battaglie delle associazioni e delle famiglie si dovranno spostare al livello locale, perché ogni regione ha i propri bilanci e ogni Asl ha i suoi riferimenti».
C'era molta attesa per questa legge, dunque?
«Sì, questa è una legge che è in sospeso da almeno quattro anni, ma il dibattito precedente è stato lungo. C’erano dei sentori, che però non trovavano conforto in una precisa diagnosi, non c’era nessun riferimento possibile di intervento o cura. Oggi non sappiamo le cause di queste patologie che si sospetta abbiano un’origine genetica. In questo periodo sono sorte nuove metodiche diagnostiche di valutazione, perché la malattia non colpisce tutti allo stesso modo; si è notato che interagendo con queste persone con specifici adattamenti comportamentali o specifici ausili, si ottenevano delle risposte non auspicabili anni fa. La diagnosi precoce è un salvavita per poter intervenire sui bambini».
La ricerca ha fatto dei passi avanti?
«Sicuramente si. Si era indirizzata verso diversi filoni, come quello alimentare o quello ambientale. Al momento esistono solo correlazioni di natura statistica, una ricerca vera e propria non è ancora stata impostata per arrivare a capire quali possano essere le vere cause che agiscono a livello cerebrale, anche se al farmaco miracoloso non crede nessuno. I pazienti che soffrono di autismo sono persone, coscienti, che usano diversi modi di esprimersi: comunicano, pensano, ragionano e hanno sentimenti; sono diversi, ma non disabili. Ora la loro integrazione è sempre più vicina».
Avete fatto un progetto finanziato Opm valdese per il lavoro?
«Alla fine della scuola dell’obbligo spesso ci si ritrova in un buio totale, e allora nascono mille iniziative. Tra questa una piccola azienda agricola, che offrirà servizi di ristorazione e ospitalità: sarà gestito da genitori e ragazzi autistici, speriamo di inaugurarlo il prossimo anno e di dare il via a un filone di attività collegate. Noi speriamo che ci possa essere un futuro per queste persone anche quando saranno adulte o anziane, secondo modelli di integrazione che non siano quelli dei centri. Li vogliamo liberi e attivi per quanto consentirà loro la situazione: solo così saranno più integrati».