E la Grecia disse “no”
06 luglio 2015
La coesione che si è creata intorno al governo Tsipras è la vera capacità negoziale della Grecia
Dopo la vittoria del no al referendum in Grecia, in cui più del 60% dei cittadini ha votato per rifiutare l’accordo proposto dall'Unione Europea, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale, tutte le borse hanno aperto in calo e la politica si sta mobilitando per gestire i nuovi scenari. Il ministro Varoufakis si è dimesso per facilitare i negoziati con l'eurogruppo e Alexis Tsipras, che non vuole interrompere i negoziati, esce dal voto con con una carta in più. Commentiamo i risultati con il giornalista Cosimo Caridi, da Atene.
Come è stato vissuto questo voto da Atene?
«Non è stato un risultato previsto, né prevedibile. Fino a qualche ora prima della chiusura dei seggi si dava vincente il sì, poi un vantaggio risicato per il no agli exit poll; ieri in giornata i dati dicevano che le differenze tra i due schieramenti erano tra i 40 mila e i 100 mila voti, quindi pochissimo su 10 milioni di abitanti. Ma poi, dalle prime sezioni scrutinate, unite al sentore generale, è apparso chiaro come la maggior parte dei greci avesse scelto il “no”. Questo ha scatenato un effetto domino che ha convinto tutti quanti, soprattutto nelle grandi città, a scendere in piazza. Ad Atene, in piazza Syntagma sembrava una festa: bancarelle, cibo, canzoni. Dalla parte politica, Tsipras ha parlato per la prima volta da primo ministro, e non da leader politico populista. Nella notte poi, la notizia delle dimissioni di Varoufakis. Le piazze sono state veloci ad animarsi, ma la politica greca sta andando a una velocità incredibilmente più grande».
I greci sembravano entusiasti come quando si vincono delle elezioni.
«Quello che ci aspetta non è chiaro, né per noi osservatori, né per i greci, che però si fidano totalmente di Tsipras. Questo è stato ribadito chiaramente nei seggi, i greci hanno affidato la gestione al premier. Domani ci sarà l’incontro Merkel-Hollande che potrà decidere come andranno avanti i negoziati a Bruxelles, ma il punto chiave è che con un mandato così forte, qualsiasi cosa faccia Tsipras in questo momento non farà che aumentare il suo potere politico e contrattuale con i creditori internazionali. Vorrà dire che si apriranno diversi scenari che potranno portare o a una ristrutturazione del debito, oppure a una rottura definitiva tra Grecia e Europa. Nelle urne i greci votavano sul memorandum, e non sull’euro: in Europa ne terranno conto.
Una vittoria politica interna, al di là dei rapporti con i creditori?
«Quando si parlava di referendum, i greci dicevano chiaramente che avrebbero voluto la sovranità monetaria ma riconoscevano la necessità dell’euro, criticando però le politiche dell'austerity. In Europa si riduceva tutto a dentro o fuori, e la campagna mediatica che voleva dipingere buoni e cattivi, europeisti e anti-europeisti, è stata forte. Nel prossimo eurogruppo si capiranno le vere prospettive, ma quello che sappiamo di sicuro è che la Germania e tutti i paesi del nord Europa sono poco disposti a concedere nuovi aiuti alla Grecia, perché potrebbe costituire un precedente importante per i prossimi appuntamenti elettorali in autunno. L’eurogruppo non dimentica questo, e se abbassa la tensione per la Grecia, lo farà anche con la Spagna e con l’Italia. Questo punto è importante, perché in piazza Syntagma c’erano diversi politici italiani non collegati fra di loro: c’era Ferrero di Rifondazione, o Fassina; c’era Scotto di Sel, c’era Beppe Grillo con i parlamentari cinque stelle e così via. La situazione è complessa, e a Bruxelles devono fare attenzione a non lasciarsela scappare di mano: in questa situazione possono pensare che la cosa più semplice da fare sia tentare di reprimere chi non è d’accordo».
E se avesse vinto il sì?
«Il governo di Syriza ha dimostrato che le vittorie politiche gli interessano poco, e le dimissioni di Varoufakis ne sono l'evidenza, sono state un vero gesto di antipolitica: per come conosciamo l’attaccamento alla poltrona del nostro paese ci sembra pazzesco, però qui la politica sta giocando un ruolo particolare, e la capacità negoziale è basata proprio sulla coesione che si crea intorno a questo governo. Se avesse vinto il si, o se il no avesse avuto meno forza, la verità sarebbe stata che Tsipras avrebbe sciolto le camere, sarebbe andato nuovamente alle urne, e probabilmente avrebbe vinto le elezioni. Questo è la dimostrazione che il problema non è chi ti somministra la medicina-austerity, ma la medicina stessa. Ieri, una donna mi ha raccontato della morte suicida del marito a causa della crisi: mi ha detto che ha votato no per suo marito. Non bisogna mai dimenticare che quello che tratteggiamo come un dramma economico, politico e finanziario, è un dramma reale per le persone: la disoccupazione è al di sopra del 25%, quella giovanile è superiore al 60 %, il 50 % delle famiglie vive con una pensione di un parente, un terzo della popolazione vive sotto la soglia della povertà, e questo è un paese europeo».
Si è parlato molto delle file ai bancomat: qual è la situazione ora?
«Oggi le banche sono ancora chiuse. La prospettiva era di riaprirle martedì, se ci fosse stato un accordo europeo. Il problema è che le borse questa mattina hanno aperto in perdita secca, l’instabilità sui mercati porterà all’impossibilità di concedere nuovi crediti alle banche in Grecia. Ci sono ancora le file agli sportelli, ma i biglietti si stanno esaurendo».