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Ernst Barlach: arte per la pace

Attraversando i due conflitti mondiali, il linguaggio di un artista arriva ai nostri giorni: la pace è quello per cui vale lottare, lavorare, costruire, creare

Riconosciuto come uno dei maggiori artisti e letterati del XX secolo, Ernst Barlach nelle sue opere esprime tutta la forza di un uomo in costante ricerca. Una tensione vitale tra la ricerca di Dio in sé e nel mondo che porta l'artista a raggiungere l'obiettivo di dialogare semplicemente e senza dogmatismi di questioni spirituali e sociali. Un uomo del '900 che, attraversando la Prima e la Seconda Guerra Mondiale, ha imparato il significato della parola pace e l'importanza di trasmetterne il valore con ogni mezzo. Lo stile espressionista e le idee dichiaratamente antibelliche, lo portarono a veder confiscate molte sue opere dal regime nazista che considerava la sua arte degenerata; oggi il suo lavoro rimane a monito e memoria delle disgrazie provocate dalla guerra. La comunità luterana di Venezia gli dedica una mostra, realizzata come contributo indipendente alla 56ª Biennale di Venezia, presso la chiesa dei ss. Apostoli fino al 13 settembre 2015. Berndt Prigge, pastore della comunità evangelica luterana di Venezia, racconta l'esposizione il cui titolo è “Ernst Barlach: lo scettico – figure di un mondo migliore”.

Come mai la scelta di dedicare una mostra alle opere di questo artista?

«Barlach non è molto conosciuto qui, ma in Germania tutti, quantomeno tutti i cristiani, conoscono le sue opere. È vissuto tra il 1870 e il 1930 ed è stato un artista molto importante; l'idea era di preparare questa mostra a Venezia per mostrare anche agli italiani il suo lavoro. È stato un artista molto critico verso la guerra e con forti idee pacifiste. All'inizio del 1914 anche lui si entusiasmò per lo scoppio della Prima Guerra Mondiale ma già dopo alcuni mesi si rese conto che la guerra avrebbe portato solo sofferenza e cominciò a schierarsi contro il conflitto diventando attivamente pacifista. In tutte le sue opere si legge un messaggio anti bellico e già dopo la prima guerra mondiale realizzò monumenti commemorativi che, in maniera diversa, lanciano questo messaggio. L'esposizione comprende 40 sculture e 70 tra disegni e litografie».

Attraverso le opere cosa si legge del suo rapporto tra fede e arte?

Barlach era nipote di un pastore e lavorava in un ambiente protestante, però era molto critico e mise in discussione i dogmi della chiesa. Quando il pastore della sua città gli scrisse chiedendo come mai non era più impegnato nella comunità lui rispose di avere una sua fede, una fede non formulabile, che gli impediva di sottoscrivere il credo apostolico. Aveva uno spirito liberale ma nonostante ciò dalle sue opere emerge un interesse verso la religione: più volte ritrasse Gesù sofferente e il legame coi temi del cristianesimo traspare in modo profondo e toccante».

Possiamo dire che attraverso l'arte, i messaggi fondamentali del cristianesimo possono raggiungere molte persone?

«È così. Lui disse una frase: io non ho Dio, però Dio ha me. Il che significa l'incapacità di formulare quello in cui credette e al contempo la presenza nella sua vita di qualcosa si soprannaturale, di una trascendenza non dominata dai dogmi della chiesa».

A proposito della Biennale di Venezia di quest'anno: con l'aiuto della comunità musulmana un artista svizzero ha trasformato la chiesa di Santa Maria di Venezia in una moschea. Un'installazione che ha dovuto chiudere prima del tempo a causa di mancanza di autorizzazioni ma anche a causa di numerose proteste e polemiche. Come commenta questa vicenda?

«È stato molto spiacevole. Io sono stato all'inaugurazione di questa installazione presso il padiglione islandese ed ero molto contento del progetto. Questa città è quella in cui nacque la prima moschea d'Occidente e, sempre a Venezia, è stato stampato il primo Corano, segno di una certa tradizione di libertà religiosa. Questa vicenda però ha scatenato molte polemiche sia sui giornali che tra i cittadini, tanto che il comune ha cercato molti pretesti per poter chiudere questo progetto. I musulmani inizialmente erano molto entusiasti e volevano continuare a poter usufruire di questo spazio anche dopo la Biennale, ma viste le polemiche hanno desistito. Questo spazio rimarrà come un monumento per ricordare la necessità di lavorare insieme. Lavoro e dialogo che è importante avere con la comunità musulmana, una presenza numericamente importante in Veneto, che però non dispone di una moschea pubblica ed è costretta a radunarsi lontano dal centro, nelle zone industriali».

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