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Chiudere subito il campo rom La Barbuta di Roma

Decisione storica del tribunale di Roma nei confronti dell'amministrazione pubblica

Per la prima volta in Europa un tribunale riconosce il carattere ghettizzante e quindi l'illegalità dei cosiddetti “villaggi attrezzati” per rom e sinti. Il caso è quello del campo nomadi che la giunta Alemanno fece costruire a fine 2011 nel quartiere La Barbuta, in periferia di Roma, in piena emergenza nomadi.

Il campo La Barbuta è uno degli otto villaggi attrezzati della Capitale e si trova alla periferia del comune di Ciampino, in una zona isolata e lontano da città e servizi. Ospita attualmente oltre 550 rom, di cui più della metà minori. Nel 2012 arriva al limite del sovraffollamento a causa degli sgomberi forzati da altri campi abusivi.

Il Tribunale Civile di Roma ha riconosciuto «il carattere discriminatorio di natura indiretta del villaggio, perché rappresenta una soluzione abitativa di grandi dimensioni che riunisce le persone su base etnica e quindi priva dei caratteri tipici di un'azione positiva d'integrazione».

La denuncia che ha portato a questa storica sentenza è stata sostenuta in questi anni dall'Associazione 21 luglio, organizzazione no profit indipendente che per suo Statuto non accede a finanziamenti pubblici italiani e che si occupa soprattutto del superamento dei campi-ghetti in Italia, e dall'Asgi Associazione Studi Giuridici sull'Immigrazione.

«Nella nostra denuncia siamo stati sostenuti dall’Open Society Foundations, da Amnesty International e del Centro Europeo per i Diritti dei Rom – spiega Carlo Stasolla, presidente dell’Associazione 21 luglio – ci siamo mossi subito dopo la sua realizzazione ma il percorso è stato lungo. La nostra azione legale si può dire sia stata innovativa: si basava infatti sulla convinzione che un luogo pensato, realizzato e vissuto come “ghetto” su base etnica era assolutamente discriminatorio ed illegale. La segregazione abitativa è un fenomeno tipicamente italiano: l'Italia viene chiamata il “paese dei campi” dai nostri colleghi europei».

La legge ha quindi dato ragione alle prese di posizione della 21 luglio. Ora si aprono alcuni possibili scenari: il comune di Roma potrebbe decidere di accogliere la vertenza e quindi smantellare il campo, oppure presentare appello entro 30 giorni. «Ci auguriamo che questa strada non venga battuta – aggiunge Stasolla – Abbiamo avviato trattative con il comune per evitare che la sentenza venga disattesa. In questo caso abbiamo una strategia impostata: tra le possibilità potremmo avviare le azioni risarcitorie nei confronti del comune a favore dei singoli abitanti del villaggio, come prevede la legge. L'azione avrebbe un effetto domino anche negli altri campi, quindi devastante per le casse dell'amministrazione comunale. Aspettiamo nei prossimi giorni l'orientamento del sindaco Marino».

Nella vicenda del villaggio La Barbuta si allungano anche le ombre di Mafia Capitale, che l'associazione 21 luglio segnala da anni. Carlo Stasolla ha ricevuto anche minacce per aver preso posizione sull'argomento: «C'è sempre un collegamento molto stretto tra il business e la violazione di diritti umani. Al momento della costruzione del villaggio il direttore dei lavori era Angelo Scozzafava, oggi agli arresti per associazione mafiosa. La nostra associazione invitò la magistratura a controllare le spese e il coinvolgimento poco limpido di una serie di imprenditori. Proprio in questi giorni è stata pubblicata sui media nazionali l'intercettazione telefonica in cui emerge l'interessamento di multinazionali nei confronti de La Barbuta per un giro di affari di circa 10 milioni di euro».

L'Associazione 21 luglio, sostenuta anche dall'Otto per Mille valdese, è presente a attiva su tutto il territorio italiano, attraverso una rete di attivisti che segnalano e seguono altre situazioni. In particolare in questi mesi l'attenzione è concentrata sulla città di Cosenza dove il comune ha realizzato una tendopoli in cui collocare 600 rom.

Foto via