“E saranno una stessa carne”
04 giugno 2015
Una certa teologia cristiana è responsabile di una cattiva interpretazione della sessualità e dell’affettività
Le cronache di questi ultimi giorni ci hanno consegnato, purtroppo, due episodi riguardanti preti cattolici invischiati in storie di pedofilia, realizzazione di video pornografici e prestazioni sessuali a pagamento. Diciamo purtroppo perché in questi episodi le vittime sono dei soggetti particolarmente fragili: bambini rom indotti ad essere filmati, stranieri senza documenti indotti a fare sesso in cambio di un permesso di soggiorno. Diciamo purtroppo perché non è la prima volta e molto probabilmente non sarà l'ultima che le fragilità di soggetti più deboli sono sfruttate. Sarebbe troppo facile, soprattutto da parte di chi non si riconosce nelle posizioni etiche di cui i due preti cattolici sono rappresentanti, additare alla pubblica opinione i due casi definendoli, a seconda dei casi: perversi, malati o ipocriti. Questo ci permetterebbe di tenere lontano da noi il dramma che queste storie raccontano e che in fondo sono simili a tante altre che di volta in volta le nostre vite ci raccontano e di cui soprattutto una certa teologia cristiana è responsabile. La gestione del corpo, della sessualità e dell'affettività umana fu da subito, sin dalle lettere paoline, uno dei terreni su cui la nuova identità cristiana nascente si trovò a misurarsi. La tensione tra i banchetti orgiastici, più tipici della cultura pagana, e l'ascesi in preghiera che alcuni proponevano vennero da Paolo, in egual modo, condannate non per ciò che essere rappresentavano in quanto tali ma poiché entrambe venivano vissute e proposte come un modo per rendersi più giusti agli occhi di Dio. Ma la lezione di Paolo, che trova il suo fondamento nell’opera salvifica di Cristo, non è stata così accolta nella storia del cristianesimo, che ha preferito associare al diverso modo di vivere sessualità e relazioni affettive diverse possibilità di accedere alla salvezza.
La castità e la verginità sono così diventati dei valori, i voti di celibato e la sessualità relegata all'interno della sfera matrimoniale hanno contraddistinto nella storia la dottrina delle diverse chiese in questa materia. Il corpo delle donne è diventato un campo di battaglia dove gli uomini si sono spartiti il diritto di proprietà sulla nascita, la sessualità, il piacere. La coppia eterosessuale regolarmente sposata è diventata il metro su cui misurare e rifiutare tutte le diversità. Allo stesso tempo, a fronte di questa norma, si sono moltiplicate le trasgressioni, di solito effettuate da maschi eterosessuali: la violenza sulle donne, la prostituzione che trova la sua ragione sulla domanda che non manca mai, la pedofilia, l'omicidio della fidanzata che dice no. Questo dramma ci interroga come credenti: perché uno dei “buoni doni” del Signore è diventato terreno di scomunica, di violenza e di abuso? Eppure in principio non era così. In principio «l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e saranno una stessa carne. L'uomo e sua moglie erano entrambi nudi e non ne avevano vergogna». Il mistero di un'attrazione è inserita, dall'inizio, nella parte del racconto della creazione precedente alla caduta. La sessualità e la relazione tra i due sono dunque uno dei doni positivi di Dio. La traduzione della parola “donna” in ebraico con la parola “moglie” ha voluto giustificare una relazione sessuale fin dall'inizio inserita nei codici del matrimonio. Più probabilmente si può qui, al più, pensare che venga intesa l'attrazione esclusiva tra due individui che non descrive, però, un matrimonio, dato che nella legge del tempo era sempre la donna a lasciare la casa di suo padre. Probabilmente anche questa traduzione è frutto di un bisogno umano di codificare e regolamentare una dimensione irrazionale e passionale che fa parte del nostro essere sin dal principio così come il libro della Genesi ce la descrive e come viene mostrata nella sua gioia dagli innamorati nel Cantico dei Cantici.
Non solo i bambini rom e gli immigrati senza documenti sono vittime oggi; non solo le migliaia di donne violentate o uccise in nome di un possesso che il maschio vuole ribadire sul corpo delle donne; non solo gli omosessuali esclusi dai diritti e picchiati perché diversi dalla coppia eterosessuale procreatrice; anche i preti di questi giorni di cronaca sono vittime a loro volta. Vittime di una teologia che in modi diversi nelle diverse confessioni cristiane, fa ancora discendere la salvezza dall'obbligo di non compiere atti impuri. Una teologia che tradisce il senso dell'opera salvifica di Dio e costringe ciascuno di noi a portare un peso che non è sopportabile e che spesso si trasforma in sensi di colpa, violenze, abusi, depressioni dove diventa sempre più difficile distinguere tra vittime e carnefici. Le chiese e la società oggi si dividono e si scontrano su questi temi, come se anche questi fossero un campo di battaglia, al pari dei nostri corpi. Spesso chi accoglie posizione diverse rispetto alla norma viene accusato di essere troppo permissivo, di avere allargato le maglie dell'accesso al Regno a misura dei propri bisogni o di aver tradito la parola di Dio. Nostro compito resta quello di annunciare a tutti e tutte l'opera salvifica di Dio che si fa carico del nostro dolore e dei nostri sensi di colpa e ci annuncia una realtà nella quale la sessualità, le nostre relazioni affettive, il nostro corpo sono parte dei buoni doni del Signore che ci chiama alla vita e non all'umiliazione e alla sofferenza.