Il caso ISBN e l’etica del buttarla in caciara
29 maggio 2015
Quando i social sono poco protestanti
Non sempre sui social network si capisce che cosa stia succedendo, di cosa si stia parlando. A volte si trovano degli hashtag sibillini e può essere necessario fare una ricerca online per capire di che si tratta — come nel caso di #occuPAY, gioco di parole tra “occupare” e “pagare”, con riferimento ai movimenti tipo Occupy Wall Street.
A volte è inevitabile. Immaginate di entrare in un bar e di trovare i vostri amici impegnati in una conversazione di cui non comprendete il contenuto. Altre volte invece è in atto una manipolazione: quello che a Roma chiamano “buttarla in caciara”. È una tecnica comunicativa usata da chi nel dibattito si trova in difficoltà. Un modo più elegante di dirlo è “benaltrismo”: stiamo parlando di una questione, ma in realtà il problema è “ben altro”.
Nelle scorse settimane, ad esempio, è esploso il caso ISBN: una controversia su compensi non pagati a traduttori e autori da parte della casa editrice fondata e diretta da Massimo Coppola. È una vicenda invero poco originale: un’impresa finisce i soldi e non può pagare i creditori.
Il caso #occuPAY nasce quando lo scrittore britannico Hari Kunzru usa Twitter per chiedere a Massimo Coppola perché non ha ancora pagato sua moglie Katie Kitamura, anche lei scrittrice, per il libro Knock Out, pubblicato da ISBN. Per maggiori dettagli leggete su Wired Italia qui e qui.
La discussione pubblica che ne segue è grossa e vi entrano altre persone non pagate (autori e traduttori), amici di Massimo Coppola, opinionisti, tuttologi, “tweetstar” e utenti comuni. Sembra una riedizione delle pantomime inglesi, dove il pubblico è invitato a schierarsi: una parte con i lavoratori non pagati, l’altra parte con la casa editrice alternativa diretta dal Vip con l’aura del geniaccio.
Così, elementi estranei vengono gettati sul palcoscenico e risulta difficile seguire la trama. La discussione allora si sposta dal mancato pagamento dei compensi e dalla comunicazione apparentemente deficitaria da parte della casa editrice. Di solito, infatti, gli imprenditori insolventi riescono a evitare che la questione diventi di pubblico dominio.
Alcuni utenti di Twitter dirottano la discussione sulla reputazione della casa editrice e del direttore. Della serie: «Il punto non è che non ha pagato questi autori e traduttori, perché fino a due anni fa ha pagato tutti», oppure «Come si fa a mettere in discussione il valore culturale di questa casa editrice, unica nel panorama italiano?», oppure ancora «Sapete tutti quanto è bravo il direttore Massimo Coppola: come si fa a mettere in dubbio la sua condotta?»
Questo è buttarla in caciara. L’elemento debole — in economia è il creditore che non ha speranza di vedere i suoi soldi — che era riuscito ad avere un minimo di visibilità con i social, rischia di soccombere all’interlocutore e ai suoi sostenitori, dopo averli inizialmente messi in difficoltà.
Nella cultura protestante è più facile discutere nel merito della questione, perché la bontà o meno dei contendenti è già risolta da Lutero, quando dice che l’essere umano è allo stesso tempo “giusto e peccatore”. Dunque, il fatto che una persona si sia spesso comportata bene non è argomento sufficiente per dire che abbia fatto sempre bene, anzi.
Sei bravo, sei un mio amico, sei intelligente, ma potresti esserti comportato male questa volta, anche solo questa volta. Discutiamo di questo e non buttiamola in caciara.