Francia: benedizione come testimonianza e accompagnamento delle persone
20 maggio 2015
La testimonianza di Paola Schellenbaum, membro della Commissione “Famiglie e coppie di fatto”, invitata al sinodo francese che si è appena concluso
Si è concluso nei giorni scorsi a Sète il Sinodo della Chiesa protestante unita di Francia (EPUdF). Nel 2012 un accordo storico ha portato alla nascita dell’unione delle chiese riformate e luterane, una nuova chiesa cristiana in Francia con solide radici ma aperta al futuro.
Al loro terzo Sinodo i protestanti francesi si sono confrontati sul tema "Benedire. Testimoni dell’Evangelo nell’accompagnamento delle persone e delle coppie". Il tema della testimonianza e della comunione fraterna è centrale per i riformati e luterani d'Oltralpe, in questa nuova fase della loro storia: testimoniare di Gesù Cristo tramite una condivisione aperta e attiva dell'Evangelo è una vocazione che dà senso alla vita - e alla vita della chiesa - ed orienta l’agire umano. «Evangelizzare equivale a benedire» - ha esclamato il pastore Laurent Schlumberger, Presidente dell'EPUdF. «Queste due parole si prefiggono il medesimo obiettivo: recare una parola buona e feconda, annunciare una buona notizia portatrice di vita. Per noi questa parola proviene da Dio ed è rivolta a tutti: è l'Evangelo di Gesù, il Cristo. Noi ne siamo testimoni». La Chiesa valdese italiana era rappresentata al Sinodo francese da Paola Schellenbaum, membro della Commissione "Famiglie e coppie di fatto" della Tavola Valdese. Con lei abbiamo fatto il punto sulla riflessione in corso.
Evangelizzare e benedire non sono concetti teorici, tanto meno ideologici. Si ha a che fare con persone in carne ed ossa, coppie, famiglie, comunità. Come è possibile una condivisione dell'Evangelo che non dimentichi la concretezza delle nostre vite con il loro carico di gioie e dolori, di slanci e di cadute?
«Sono appena rientrata da questa bellissima ed arricchente esperienza del Sinodo nazionale dell’EPUdF, per certi versi storico, moderato efficacemente da Philippe Sauter, comandante di nave in pensione, e da due vicepresidenti che hanno condotto i lavori in modo davvero efficace. Un cammino condiviso insieme a fratelli e sorelle delegati (105 con voce deliberativa), oltre a membri con voce consultiva, invitati e rappresentanti di chiese sorelle non solo europee, era infatti presente anche la Cevaa. La concretezza delle nostre vite si è trovata pienamente immersa nella preghiera, nella riflessione e nella testimonianza, ogni mattina aperta da una meditazione della priora della Comunità di Reully, Soeur Mireille, che ha anche predicato nel culto di chiusura, accompagnata da due diaconesse. Le loro voci risuonano ancora attraverso il commento al racconto della lotta di Giacobbe (Gen 32-33) e a quello della samaritana (Gv 4): questi testi ci interpellano tutti e tutte, nelle situazioni di vita in cui ci troviamo, nella gioia e nel dolore. Gli inni e le preghiere hanno accompagnato il serrato dibattito sinodale che veniva al termine di un percorso articolato, durato diciotto mesi, in cui circa il 70% delle chiese locali e i nove sinodi regionali hanno potuto confrontarsi sul tema sinodale nelle sue diverse articolazioni.
Nel Sinodo nazionale è stato possibile partecipare attivamente alla revisione del documento proposto per la decisione finale. L’ascolto, l’espressione delle differenze e il confronto rispettoso - nelle situazioni concrete e attraverso la riflessione sulle relative problematiche - è stata una pratica costante durante i lavori sinodali. Sono stata molto colpita da questa metodologia, diffusa, coinvolgente e partecipativa, animata da un gruppo di “rapporteurs” coordinati da Isabelle Grellier, docente di teologia pratica a Strasbourg. Anche durante i lavori sinodali vi sono state due sessioni di lavoro di gruppo sul documento. E venerdì, in un momento un poco teso del dibattito in plenaria, mi hanno chiesto di intervenire sulla nostra esperienza, che ho brevemente presentato nel suo percorso: penso sia stato utile al dibattito, un segno di testimonianza e di incoraggiamento ma anche di condivisione di un cammino comune».
La decisione sulla benedizione delle coppie dello stesso sesso che il Sinodo valdese ha assunto nel 2010 è stata il frutto di un processo complesso, ma al tempo stesso ha rilanciato la riflessione su temi rilevanti, dalle diverse letture e interpretazioni del testo biblico al significato della benedizione per i singoli e per la chiesa: ha notato qualcosa di analogo al Sinodo EPUdF?
«Soprattutto nei documenti dei sinodi regionali emerge un grande interesse per il tema della benedizione delle persone e delle coppie - e in particolare delle coppie dello stesso sesso - in occasione del loro matrimonio civile dato che in Francia dal 2013 c’è il matrimonio per tutti. La riflessione è stata però ben più ampia e ha interessato la possibilità di nuove liturgie per la benedizione anche di altri “passaggi di vita”. Ci sono state anche divergenze su questo aspetto e il dibattito proseguirà nelle chiese. Per quanto riguarda l’interpretazione del testo biblico, il rapporto dei sinodi regionali solleva il doppio rischio - presente anche da noi - di un’interpretazione letteralista delle Scritture, soprattutto sull’omosessualità, o di letture moraliste che non lasciano risuonare l’Evangelo e il “sì” incondizionato di Dio che è per tutti e ciascuno. La difficoltà, soprattutto nelle zone rurali o nelle chiese più conservatrici, è di rimettere al centro Gesù Cristo. Le chiese protestanti storiche vivono di un pluralismo d’interpretazioni dei testi biblici ed è ciò che va salvaguardato. È anche per questo motivo che il documento finale opta per una lettura cristologica ed evangelica della Bibbia e cita un solo versetto: “benedite; poiché a questo siete stati chiamati affinché ereditiate la benedizione” (1 Pietro 3:8). Ad alcuni è sembrato poco, ma alla luce della globalità del percorso a me è parso che mettere l’accento sulla reciprocità della benedizione - come sottolineato da Isabelle Grellier - fosse davvero positivo. Un’altra preoccupazione emersa nel dibattito è la deriva “sacramentalista” ed è per questo che nei documenti preparatori e nel dibattito sinodale si è partiti dall’ampio contesto della benedizione che è relazione con Dio ed invito a vivere pienamente nel dinamismo della fede: la benedizione è al tempo stesso accoglienza, promessa, invio. È un dono da ricevere e una ricchezza da condividere, nel lungo periodo. Il testo integrale della decisione sinodale può essere letto sul sito http://www.eglise-protestante-unie.fr».
Condividere l'Evangelo con gli altri significa anche accettare le differenze di cui questo altro, questa altra sono portatori. Che ruolo possono ricoprire queste differenze all'interno della chiesa?
«Questo è un punto molto importante di cui sono da sempre convinta ma che la partecipazione al Sinodo EPUdF mi ha permesso di vivere pienamente. Nel suo discorso iniziale il Presidente Laurent Schlumberger ha richiamato con forza la comunione fraterna che viene prima di ogni accordo o disaccordo tra opinioni diverse, che precede le divergenze. E il Sinodo si è espresso chiaramente sul fatto che il vivere insieme come Chiesa, valorizzando ed accogliendo le nostre differenze, apre alla possibilità di vivere nella fiducia e nella gratitudine di essere fratelli e sorelle, verso un cammino di condivisione: Dio ci parla attraverso le differenze e non malgrado esse. Anche le differenze di interpretazione del testo biblico arricchiscono la nostra vita di fede. Il documento finale termina con un’esortazione alla libertà dei figli e delle figlie di Dio per osare la fiducia tra di noi, nella fiducia nel Dio di Gesù Cristo, che ci benedice e ci chiama a benedire!».
Lei fa parte anche della Commissione "Famiglie e coppie di fatto" della Tavola Valdese. Pensa che dal Sinodo francese siano emersi contenuti utili anche al lavoro della Commissione?
«Sì, almeno su tre diversi fronti. Innanzitutto è stato importante per me partecipare al dibattito di una chiesa sorella, così vicina alla nostra sensibilità sia storicamente ma anche nel modo in cui cerca oggi di rivolgersi ai propri contemporanei: talvolta gli echi del nostro dibattito in Italia si sono intrecciati con quanto ho potuto vivere ed ascoltare in Francia e questo mi ha fatto pensare che sarebbe bello proseguire nella collaborazione, magari al livello della elaborazione delle liturgie e del lavoro di accompagnamento pastorale. Nel documento francese si propongono due équipes ed essendo un tema trasversale, è bene che vi sia interdisciplinarietà e collaborazione. In secondo luogo, è stato molto utile - come già accennato - per la metodologia proposta durante il percorso: anche se essa non è pienamente replicabile vi sono però aspetti che possono essere adottati nel nostro dibattito sinodale. D’altra parte, la Commissione aveva già in passato ampiamente preso visione dei materiali provenienti dalle chiese sorelle e in particolare dall’EPUdF. Infine, mi è parso che una riflessione condivisa su queste tematiche - ma anche sul tema dell’immigrazione su cui vi è stato un ordine del giorno che nel dibattito ha fatto cenno al progetto “Mediterranean Hope” della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia (FCEI) - possa essere rilevante anche sul piano delle relazioni ecumeniche, che si ricollocano a livello europeo. Vi è inoltre la necessità di sostenerci reciprocamente, oltre le frontiere nazionali, e questo può essere parte del cammino verso il 2017».