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Gli immigrati non «portano le malattie»

Garantire a tutti condizioni di vita accettabili è la prima arma da utilizzare contro la malattia

Non è vero che gli immigrati «portano le malattie»: è la povertà che genera e alimenta le malattie, soprattutto certe malattie. Le persone in condizioni di svantaggio sociale tendono ad ammalarsi di più e a guarire meno, a perdere l’autosufficienza ed anche a morire prima. La crisi economica in Italia ha, di conseguenza, creato, non solo nuovi poveri, ma anche nuovi malati e ha determinato il verificarsi di nuove (antiche) malattie, che pensavamo fossero scomparse dal nostro paese. La tubercolosi, la scabbia, per esempio, la sifilide o altre malattie sessualmente trasmissibili si riaffacciano dal passato assieme a povertà e precarietà. Ma la povertà favorisce anche lo sviluppo delle epatiti e di tutte le altre forme virali, delle malattie cutanee e di quelle respiratorie.

I detenuti, i senzatetto, gli immigrati e gli anziani sono i primi a essere colpiti perché più deboli, a causa della malnutrizione e di un sistema immunitario depresso. I più poveri non solo sono i primi ad essere colpiti, ma sono anche quelli che hanno maggiore difficoltà poi a curarsi e ad accedere ai farmaci. La tubercolosi, il mal sottile che pensavamo accantonato tra le righe di una certa letteratura, diventa l’esempio delle antiche malattie che tornano assieme ai tempi di carestia. Una malattia che colpisce tutti, senza distinzioni. I 3.153 casi di tubercolosi notificati nel 2013 in Italia sono stati diagnosticati al 40% agli italiani poveri e al 60% agli stranieri. «Ma questo non deve far pensare che arrivando sul nostro territorio queste persone rappresentino una minaccia, perché “portano la malattia”, come spesso si sente dire», spiega Giovanni Baglio, epidemiologo dell’Istituto nazionale salute migrazione e povertà (Inmp) di Roma, «anzi, la stragrande maggioranza di coloro che vengono a cercare lavoro in Europa partono in ottime condizioni di salute: se soffrissero di tubercolosi in forma conclamata, e quindi infettiva, non potrebbero resistere al viaggio». Il problema sorge perché una volta arrivati qui, le condizioni igieniche scadenti, il sovraffollamento e la malnutrizione fanno sì che i microrganismi eventualmente latenti si possano risvegliare, e trasmettere tra chi vive insieme a loro. «La possibilità che venga contagiato, e soprattutto che sviluppi la malattia, chi vive in una situazione di relativo benessere è invece molto bassa» precisa l’esperto.

I poveri però sono anche a rischio obesità e più esposti ai problemi cardiocircolatori e alle patologie tumorali del tratto gastrointestinale. Questo perché sono costretti a un regime alimentare di scarsa qualità, a basso costo, ma molto pericoloso: i prodotti accessibili a poco prezzo sono in genere ad alto potere calorico, ad alto contenuto di conservanti e poveri di vitamine essenziali, spesso anche sottoposti a metodi di conservazione «esasperati» e quindi dannosi. Garantire a tutti condizioni di vita accettabili è quindi la prima arma da utilizzare contro la malattia.

Foto di Paul Barker Hemings via Flickr | Licenza CC BY-SA 2.0