Sotto osservazione
30 aprile 2015
Il successo della Festa del Libro Ebraico porta a interrogarsi sul rapporto tra la condizione di minoranza e l'essere sotto i riflettori
Grande il successo della sesta edizione della Festa del Libro Ebraico, appena conclusasi a Ferrara. Organizzata dalla Fondazione Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah (Meis) in attesa del completamento del primo lotto del museo che ospiterà spazi espositivi permanenti, centro di documentazione, biblioteca e aree per la didattica, vede crescere di anno in anno il pubblico, ma anche lo spessore del programma e degli ospiti. Libri soprattutto, tanti libri, incontri, presentazioni, un convegno internazionale, concerti, degustazioni e passeggiate per la sempre fascinosa Ferrara. Oltre cinquemila volumi di autori ebrei o di argomento ebraico, centocinquantasette case editrici, occasioni ghiotte di incontri con scrittori, studiosi e i giornalisti... e una domanda. Vero è che, come mi diceva un’amica libraia, “È pazzesco ma quando inizi a ragionarci su ti rendi conto che una quantità impressionante di libri ha un qualche aggancio ebraico” ma non è eccessiva questa attenzione?
Così come non è eccessivo che nella rassegna stampa dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane entrino decine di migliaia di articoli ogni anno? Ci sono ovvi e prevedibili picchi in occasione di date particolari, come la Giornata della Memoria, o di eventi che hanno particolare visibilità, come la recente morte di rav Toaff, ma anche il semplice flusso quotidiano è impressionante, segno di una attenzione costante che dovrebbe far riflettere. A parte l’ovvia considerazione che una simile rassegna stampa - dove entra anche tutto ciò che riguarda temi come diritti, discriminazioni, razzismi e minoranze - sarebbe uno strumento utilissimo anche per la redazione di questa newsletter, io mi trovo a chiedermi perché non esiste una analoga “Festa del libro protestante”? Perché al di là dell’indubbio (e invidiabile, nonché encomiabile) successo della campagna per l’otto per mille l’attenzione dedicata ai valdesi, per esempio, non è neppure paragonabile? Oppure, forse invece sarebbe simile ma nessuno ci bada?
Essere sempre sui giornali, essere sempre “sotto osservazione”... è un bene o un male? È segno di un sincero interesse, al di là di manifestazioni indiscutibilmente belle e positive come la Festa sopra menzionata, l’attenzione spasmodica che raccoglie tutto ciò che è ebraico? Senza neppure arrivare a pensare alle reazioni che suscita il semplice pronunciare la parola Israele, e alla sovraesposizione mediatica di che tutto ciò che vi avviene... che effetto può fare a chiunque, e a qualunque minoranza, essere sui giornali tutti i giorni, e con questa intensità?