Empatia q.b.
23 aprile 2015
Quando il sentire le sofferenze del prossimo non è paternalismo
Si intitola Giorno di festa al Pio Albergo Trivulzio, è di Angelo Morbelli ed è uno dei miei quadri preferiti in assoluto. No, non ha nulla a che fare, fortunatamente, con Mario Chiesa e Mani Pulite. Risale a molto prima, all'anno di grazia 1900: tempi che qualche ottimista aveva definito Belle époque, ma che nella realtà furono anni di crisi, grandi disuguaglianze sociali, sfruttamento delle classi più povere e brutale repressione all'occorrenza. Soltanto due anni prima – tanto per citare l'esempio più famoso – il generale Bava Beccaris aveva preso a cannonate i milanesi che erano scesi in piazza per la “protesta dello stomaco”, lasciando sul selciato 80 morti e 450 feriti.
E' in quel clima sociale che Morbelli dipinge il suo Giorno di festa: un grande stanzone mal illuminato da due vetrate e arredato con banchi da chiesa; in quell'ampio spazio, solo tre figure di anziani mal in arnese, ognuno in un angolo diverso del locale. Il vecchio più vicino all'osservatore è ritratto di spalle con la testa appoggiata al banco, mentre sonnecchia spossato. Gli altri due, distanti l'uno dall'altro, sono assorti, silenziosi, tristi.
Mi sono spesso chiesto perché questo ritratto della solitudine, dell'abbandono e della povertà mi sia sempre piaciuto così tanto. Non ho un'indole particolarmente malinconica. E il quadro non è neanche un manifesto rivoluzionario di denuncia delle ingiustizie. Però, ripensandoci in questi giorni, forse ho capito perché mi colpisce in maniera così forte. L'intuizione mi è venuta paragonando il quadro – strane connessioni del cervello – a un'iniziativa recente di papa Francesco: l'aver invitato un gruppo di clochard a una visita privata della Cappella Sistina. Ho capito cosa lega le due cose. E' una parola: empatia. La capacità, insomma, di sentire intimamente le sofferenze dell'altro. E di ritrarle, come nel caso di Morbelli. O di offrire un gesto di vicinanza e attenzione, che sfugge totalmente alla logica del paternalismo, come nel caso del Papa.
Quindici giorni fa, in questa stessa rubrica, parlavo della necessità – se si vuole davvero collaborare al processo di riconciliazione e unità di tutti i cristiani – di ripartire da un “ecumenismo del fondamento”. Ecco, penso che il primo ingrediente di un sano “ecumenismo del fondamento” sia proprio questo: empatia, q.b.