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Ponticelli: la lotta quotidiana contro il vuoto

Dopo la violenza e gli arresti degli scorsi giorni a Ponticelli, l'intervista a Salvatore Cortini, direttore del centro metodista "Casa Mia Nitti"

Sessantatré arresti, un omicidio e il ferimento di un passante nel quartiere di Ponticelli, a Napoli. La cronaca ha parlato di "far west", della violenza che torna e delle responsabilità delle istituzioni. «Ci vuole più presenza di polizia e soprattutto più risorse per i servizi sociali, per le scuole e per i progetti», dice Salvatore Cortini, direttore del centro metodista "Casa Mia Nitti", nel cuore del quartiere

In questi giorni la cronaca ci ha parlato della violenza nel quartiere, come commenta le notizie?

«La cronaca rispetta quello che è lo stato del quartiere. La violenza di cui si parla, negli anni, l’ho vista con i miei occhi, racconto immagini che ho visto realmente: si vive questa realtà di tensione e di paura, ed è vero questo aspetto che viene raccontato dai quotidiani. Ma bisogna partire da un dato: questi rioni dove avvengono le sparatorie e i fatti di violenza, come il parco Conocal per esempio, hanno il nome del consorzio di costruzioni di edifici residenziali che ha vinto l’appalto al tempo del terremoto. Nemmeno la toponomastica del comune di Napoli si è radicata: questo per dare il senso che in questo parco di case, in parte occupate negli anni 92-93, si è formato un tipo di comunità eterogenea ma con i problemi economici, di lavoro ed esistenziali comuni. Tenete presente che qui, oggi, si può comprare una casa con 15 mila euro: case che sono del patrimonio del comune o dello Stato, ma che sono gestite da persone che tengono in ostaggio questi rioni. Intorno a questa terra di nessuno, sono organizzate queste bande di giovani, clan emergenti. Fino a qualche anno fa, c’era il clan Sarno, spietato, fortissimo a Barra e Ponticelli: quello è stato sgominato e adesso i successori sono questi, ancora più spietati, senza nessuna paura, con l’obiettivo di diventare i comandanti del quartiere, dunque con interessi nello gli interessi per lo spaccio della droga».

Quando c’è un clan unico la tensione è minore?

«Sì, è così. Chiacchierando con amici del quartiere ci chiedevamo ironicamente se avessimo dovuto rimpiangere il clan Sarno, che teneva in equilibrio il quartiere, per quanto le loro iniziative camorristiche fossero violente e spietate. Quando ci sono più contendenti per arrivare al predominio di un territorio, succedono questi fatti. Al parco Conacal non c’è nemmeno una parrocchia. Non c’è niente. Nessun punto in cui i ragazzi possano trovarsi. Nel nostro centro accogliamo una famiglia di quel quartiere, con due bambini. Il padre ci ha raccontato che i bambini non scendono per giocare, non è possibile: quando vengono da noi hanno bisogno di muoversi, di stare con gli altri. Noi cerchiamo di dare questa opportunità e il senso della relazione».

Si è parlato dell’esercito a Ponticelli…

«Si, ma il sindaco ha detto che non ci vuole l’esercito. Sono d’accordo, ma ci vuole più presenza di polizia e soprattutto più risorse per i servizi sociali, per le scuole, per progetti: qui non ci sono e il momento di crisi certo non aiuta. Noi cerchiamo di stare quanto più possibile vicino alle famiglie, crediamo sia il contributo migliore. Loro ci affidano i loro figli e noi possiamo lavorare con loro, dandogli un minimo di sicurezza, un’opportunità di vivere in comunità, giocando, studiando, facendo merenda insieme. Sono quelle piccole cose che rendono un servizio alle famiglie».

Come continua la vita al Centro Nitti?

«Abbiamo cercato di mantenere come obiettivo principale quella dell’assistenza alle famiglie. Cerchiamo di leggere il quotidiano, cercando di capire quali sono i bisogni che nascono nell’emergenza o nella vita ordinaria del quartiere e, in seguito, di attrezzarci e programmarci per servire al meglio e valorizzare il nostro lavoro. Questo resta un lavoro di testimonianza dell’Evangelo e della sua libertà e parità: da qui nasce il nostro servizio e il nostro impegno».

Foto via ottopermillevaldese.org