Le imprevedibili virtù degli Oscar
25 febbraio 2015
Domenica 22 febbraio si è svolta l'87° edizione degli Oscar. Le sorprese non sono state molte ma è stata un'edizione interessante che testimonia l'evoluzione delle scelte di un'Academy che, sempre meno, è interessata a parlare solo di America all'America. Ne parliamo con Gianna Urizio, regista, membro dell'associazione Roberto Sbaffi
Cosa pensi di questa edizione degli Academy Awards americani?
«Innanzitutto concordo con i critici che dicono che da anni gli Oscar non vengono dati a film “americani”, o meglio, a film che sono specchio della società americana, il prodotto, la cultura e le paure di questa società come può essere American Sniper. I premi li prendono film di registi stranieri che portano sensibilità, metodologie, approcci, modo di scrivere e sceneggiature diverse. È il caso del premiatissimo film Birdman, ma anche di Still Alice che, è sì un film americano, ma che ha un approccio molto delicato così come Grand Budapest Hotel. Altri due film, uno che non ha vinto praticamente nulla, The Imitation Game, e il film su Steven Hawking, La teoria del tutto, trovo siano film che si ispirano a una cinematografia inglese».
Parliamo di Birdman.
«Non è facile raccontare di cosa parla. Propongo una semplice sinossi: un attore americano di grande successo, perché ha interpretato un film molto popolare in cui impersonava un uomo–uccello, va in crisi rispetto a un ruolo che ormai gli sta stretto e gli è stato stampato addosso. Un peso così grande tanto da portare il protagonista, Riggan Thompson, ad avere ormai un alter ego con cui dialoga di continuo. Alter ego che ha le fattezze del personaggio che ha interpretato per anni, l'uomo–uccello, Birdman. Riggan Thompson sente il declino per via dell'età, ha ormai 60 anni, ma si vuole riscattare. Non accetta più di sedersi sui sequel di Birdman ma cerca in qualche modo di accreditarsi come attore vero e per farlo sceglie come luogo la parte intellettuale dell'America, New York e Broadway. Il film ovviamente non smentisce la cifra stilistica del regista, Alejandro González Iñárritu: è un casino. Un continuo intrecciarsi di luoghi e personaggi ma che sostanzialmente si evolve negli incontri con la figlia ex tossicodipendente, gli attori di scena, tra cui uno con cui entra in conflitto, ecc... ma di fatto Riggan dialoga sempre con se stesso. Si accanisce verso la paura di non uscire dal ruolo di Birdman ma, assecondando il suo desiderio di successo, quando si sente importante torna a fare qualcosa da Birdman. Proprio quando si sente più lontano dal ruolo che l'ha imprigionato, senza le piume da uccello e fuori dal suo personaggio, vola, sposta oggetti, rompe cose e nella sua rabbia distrugge tutto. Questa è la tipica regia di Iñárritu, uno dei grandi registi attuali che già in altri suoi film ha lasciato spiazzati gli spettatori. In questo, il riscatto del protagonista, un bravissimo Michael Keaton, sta in una scena chiave, comica, in cui lui rimane incastrato con l'accappatoio in una porta tagliafuoco del teatro mentre lo spettacolo è in scena e l'unico modo per liberarsi e tornare sul palco per continuare a recitare, è uscire in mutande. Così, in mutande, come a volte, simbolicamente ti lascia la vita, attraversa la strada piena di persone per rientrare in teatro dall'ingresso principale, andare in camerino, cambiarsi e rientrare in scena per la parte finale dello spettacolo. In questo tratto di strada percorso seminudo, correndo tra persone che guardano e ironizzano senza capire, sta la perdita e la riacquisizione delle dignità del personaggio. Il percorso di riconquista di un attore in crisi affrontato in modo incerto, senza sicurezza, senza determinazione, con molta casualità. Devo dire che guardandolo, oltre a essermi divertita perché il film è molto dinamico, mi sono ritrovata nel mio disordine, nella mia umanità fallibile; mi ha ricordato che non si hanno certezze, e se si hanno è perché hai scelto di seguire un binario. Prendendo in prestito una frase di De Gregori, “la ferrovia ha la strada segnata, il bufalo può scartare”. Ecco, Iñárritu, può scartare, lui ci offre la visione del bufalo e non della ferrovia».
È un film che parla della ricerca di un riscatto
«Sì però, se spesso il riscatto lo cerchi per gli altri, cerchi di essere qualcuno perché gli altri lo riconoscano, ho la sensazione che il protagonista il riscatto lo cerchi per se stesso. Questa è la miglior ricerca di riscatto: il fatto che a un certo punto metti in campo le tue possibilità di essere una persona dignitosa. Riggan Thompson molte volte nel film esprime agli altri, l'ex moglie, la figlia, l'amante, l'attrice ecc... la sensazione di non essere niente, di aver sbagliato tutto. E lo dice cercando riscatto ai propri occhi.
Confesso di non aver capito una cosa, il sottotitolo: the unexpected virtue of ignorance, l'imprevedibile virtù dell'ignoranza. Forse si riferisce al non avere certezza e per questo continuare una ricerca. Non so. Credo che anche la titolazione del film, che è composta da lettere che si compongono fino a diventare parole, faccia parte della codifica del film».
Qualcuno dice che il modo in cui è girato, un finto piano sequenza, sia un po’ difficile da seguire
«Secondo me no. È vero che si passa da una situazione all'altra con la camera che segue il protagonista nell'intrico di corridoi e quinte del teatro, ma non ho trovato una grammatica esplicita del film, come per esempio poteva avere Hitchcock con i suoi lunghissimi piani sequenza, tipo in Morte a Venezia. A me è piaciuto quando lui vola e non è più Birdman. Perché vola senza essere più Birdman? Questa è la domanda a cui ognuno può dare la sua risposta. Chiunque guarda il film darà un giudizio che sarà sempre giusto».
Sei soddisfatta dei premi che sono stati dati a questo film e in generale in questa edizione degli Oscar? Avresti dato un premio a qualcuno che lo meritava ma non l'ha ricevuto?
«Come miglior film forse si sarebbe meritato di vincere anche Grand Budapest Hotel, un film nuovo, diverso. Parlando di linguaggio cinematografico, di ricerca stilistica, Birdman comunque merita. Ho apprezzato anche Still Alice, The imitation game e altri ma rispondono a una cinematografia tradizionale. È vero che la tradizione consente di cogliere delle problematiche in modo più pulito, ma se parliamo di ricerca cinematografica, sicuramente Birdman è il più innovativo in questo momento. Trovo interessante che American Sniper abbia ricevuto così poco, solo per gli effetti sonori, nonostante fosse tra i favoriti e abbia avuto grande successo al botteghino soprattutto in America. È comunque interessante: significa che gli Oscar si rendono conto che la cinematografia non è solo più quella prodotta ad Hollywood ma è mondiale, nonostante poi la realizzazione avvenga negli Studios, come nel caso di Iñárritu. È un incoraggiamento a trovare e sostenere nuovi registi in un’ottica di cinema più internazionale, più complesso e più nuovo».
La rubrica di Gianna Urizio su Radio Beckwith evangelica