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Teologia a colazione

Le Beatitudini ci ricordano che dobbiamo essere capaci di incarnare la fede nella nostra vita quotidiana

L'ambiente ricorda le nostre università della terza età: 35-40 persone non più giovanissime, motivate, che assistono a una conferenza su Matteo 25, il racconto del giudizio universale. È il sesto di otto incontri a tema, un'iniziativa chiamata Second Mondays at Wesley (il secondo martedì del mese alla facoltà teologica Wesley), l'oratrice è Sondra Wheeler, docente di Etica alla stessa facoltà. La stranezza – per le nostre abitudini – è che sono le 7,30 del mattino e gli ascoltatori hanno di fronte a sé bibbie, tablet, block notes e... caffé, uova e pancetta, dolcetti vari: stiamo parlando di teologia e facendo colazione! È un ritmo di vita piuttosto diverso dal nostro: ci si sveglia verso le 6 (ma stamani anche prima, c'erano sui 40 km da percorrere), alle 9 si è pronti per una giornata intensa. Ma innanzitutto c'è stato spazio per cibo e fede. La conferenza, sempre all'insegna del senso dell'umorismo (meno ermetico di quello inglese, però), è introdotta dal rettore: ricorda che per molti riunirsi attorno alla Bibbia è un po' homecoming, un “tornare a casa” tra fratelli e sorelle con una passione in comune. Wheeler ci spiega che l'evangelo di Matteo vuole farci incontrare Gesù che insegna, che ha dei discepoli. Ma è un maestro che non si accontenta di allievi che sanno la lezioncina a memoria. Anzi: Gesù stravolge gli stili di insegnamento del suo tempo, perché rifiuta indicazioni etiche astratte e valide per ogni stagione, semmai offre esempi pratici che svelano verità nascoste e paradossali, che lui stesso ha vissuto. Come per le Beatitudini: beati i mansueti, beati i pacifici. «Non chi mi dice Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma...». E poi Gesù non propone un pensiero organizzato, dove tutti i tasselli del mosaico stanno al loro giusto posto: piuttosto chiama ad essere cristiani in un mondo reale, confuso, dove non sempre le persone sanno chi sono e cosa vogliono. Matteo 25 ci ricorda quanto il metro con cui saremo giudicati non si trova nel nostro essere semplicemente stati capaci di imitare (o meno) quel che pensavamo dovesse essere la vita del buon cristiano, ma il perché l'abbiamo fatto (o non fatto). E per affrontare le tentazioni e I rischi della vita cristiana c'è un modo brutalmente pratico: le parole Matteo 18,23-35 sul perdono. La conferenza si conclude con I versi finali di una poetessa nordamericana contemporanea, Mary Oliver, che nella poesia intitolata What I Have Learned So Far (cos'ho imparato fin ad oggi) dicono (più o meno) così: tutte le somme hanno un inizio, tutti gli effetti una storia,/ogni gentilezza comincia con un seme sparso./Da gemma a fulgòre./L'evangelo della luce è un bivio, tra indolenza o azione./Accenditi, o sei perduto. Segue dibattito, che tra gli altri tocca un punto scottante per una società opulenta come quella statunitense: che ne sarà dei ricchi? E Gesù che ha detto “beati I poveri”? C'è forse un po' di imbarazzo in sala, mentre Sondra Wheeler rammenta come l'evangelo sia radicale su questo argomento, ma ricorda anche che di fronte a Gesù si sono trovati Giovanni d'Arimatea e Zaccheo, non certo dei poveracci. Non sempre pecore o capri sanno di esserlo.